Sunday 1 March 2009

Sindrome da disoccupazione

Scrivo travolta dall’onda –o dall’orda- della frustrazione, spinta dal desiderio di scuotere il mondo dalle fondamenta. Mi sentirei meglio solo se vedessi collassare su se stessi tutti i castelli di carte che ci svendono come surrogato della realtà.

Non so se si intuisce. Sono incazzata senza appello.

La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato scoprire, attraverso una mail tanto neutra da assomigliare a un comunicato stampa, della messa alla porta di un mio amico.
Otto mesi di manovalanza in una sedicente etichetta discografica, sottopagato ai limiti della legalità, e una volta scaduto il contratto un calcio in culo ben assestato.

Nemmeno “grazie, arrivederci”. Senza appello.

La mail di Marco era talmente sottotono e rassegnata che, una volta assimilata la notizia, l’ho tenuto un quarto d’ora al telefono sottolineando la mia –già ampiamente comunicata- visione dell’intera vicenda. Ero talmente lanciata che coniavo slogan!
Ho fatto la telefonata in esterna, spedita com’ero per commissioni, e urlavo in quel telefono come se potesse farmi da megafono.
Ero l’unica a prendere parte al mio personale corteo improvvisato a sostegno dei lavoratori precari. Ci credevo così tanto che devo aver convinto anche un paio di persone che si sono trovate a aspettare con me il verde al semaforo.

Ho un futuro, come sindacalista.
O come venditore di batterie di pentole antiaderenti
(che-se-me-le-compri-tutte-ti-regalo-il-materasso-in-lattice).

Non penso di aver risollevato il morale a Marco, ma la mia non voleva essere una telefonata consolatoria. Non c’era nessuno da consolare.
Questa non è una storia di occasioni perdute o di fidanzate apparentemente fedeli che tradiscono con l’apparente migliore amico. Manca la premessa, una situazione di benessere da cui si viene espulsi senza preavviso. Manca il piumone che si smaterializza mentre ti dormi una grigia domenica mattina di novembre.
Questa è solo la conferma che nonostante l’impegno, i compromessi accettati e la speranza che è sempre l’ultima a morire, fare un lavoro che sia gratificante stia diventando una chimera.
E ci sta che il suddetto lavoro possa essere più gratificante a livello umano che economico, siamo preparati anche a questo. Ma a lavorare solo per la gloria si deve rinunciare a troppe cose.
E la mia telefonata a Marco voleva essere una dimostrazione di solidarietà.

In fondo siamo tutti sulla stessa barca, il Titanic, e subito dopo aver impattato con l’iceberg.
Ancora ce la balliamo, ma ci resta ben poca scelta.

E non ditemi che la mia è una visione catastrofista perché sono lucida e determinata a fotografare la realtà.

Mi sono fatta un paio di conti in tasca. E non ci ho trovato nemmeno i 50 euro di emergenza.
Come posso continuare a ballare spensierata al suono dell’orchestrina se devo cercare in tutti i modi di stare a galla?

Mi sono trasferita a Milano per avere maggiori possibilità di trovare lavoro nel campo in cui mi sono specializzata attraverso anni -e anni- di università.
Il lavoro l’ho trovato, dopo aver assolto l’immancabile gavetta (3 mesi di stage a 150 euro –per 200 ore- al mese), e alla fine ho lavorato quasi un anno per portarmi a casa puliti sei mesi di stipendio (con tanto di vacanze forzate a luglio e rientro procrastinato a settembre per non concedermi il lusso di due settimane pagate in più).

Non mi vendo a peso. Non lavoro a cottimo.
Il progetto che campeggia sul mio contratto non lo riconosco come mio.
Mi si riconosce lo status da freelance, ma non lo stesso grado di libertà nella gestione del lavoro.

Superfluo specificare che le ferie sono a mio completo carico e se mi ammalo è solo un problema mio.

Niente garanzie, niente prospettive, niente gratificazioni.

Ho rotto il salvadanaio; un po’ per disperazione, un po’ per curiosità e un po’ per sfogarmi:
senza indugio, dato che non mi serve!

Risulta quindi che lavoro esclusivamente per pagarmi casa e spese, in pratica per finanziarmi la possibilità di stare a Milano a lavorare.
Mi sfugge qualcosa o in tutto questo manca una logica? Non è il classico gatto che si morde la coda? Non dovrei lavorare per poter dare un nome ai miei progetti futuri, siano essi una casa, una famiglia, una macchina o semplicemente un weekend fuoriporta?

Cosa voglio? Cosa chiedo? Cosa spero?

Non voglio più essere portata a considerare il mio lavoro una sorta di privilegio; in fondo se ho qualcosa da fare è perché ce n’è bisogno, io, guarda caso, ne sono capace e il mio contributo risulta fondamentale.

Voglio altre possibilità. La possibilità di dimostrare quanto valgo. Da qualche parte bisogna pur cominciare; una prima esperienza l’hanno fatta tutti!

Chiedo che il mio impegno venga riconosciuto, a livello economico ma soprattutto a livello umano. Dietro al lavoro c’è sempre una persona. E se la persona si sente valorizzata, lavora meglio.
Il giusto entusiasmo si ottiene con una bella iniezione di autostima. E niente fa meglio all’autostima che un complimento sincero.

Spero che lo stage, in un futuro non troppo lontano, diventi lo strumento che permetta la reciproca conoscenza a lavoratore e datore di lavoro, e che una volta concluso, se entrambe le parti sono soddisfatte, porti alla stipulazione di un contratto.
Lo stage non può più essere un bieco espediente al servizio dello sfruttamento, che consente di ottenere manodopera a costo zero. E non può superare i tre mesi. In fondo basta una settimana per capire se si dispone delle risorse adeguate dell’impegno richiesto. E forse basta il momento del colloquio perché qualcuno ti consideri “la persona giusta”.

In questo momento di sconforto, affido questa mia piccola lista dei desideri alla speranza che resta e che non mi abbandonerà mai.

Alzo il bicchiere mezzo pieno e brindo a un futuro meno nebuloso.

A noi, il nuovo precariato!

5 comments:

  1. Io ti adoro Clod!
    Davvero, che flow nella scrittura (sai, ascolto rap!;))e nell'esprimere concetti che finché si era colleghe ci si ripeteva spesso, tra una pizza dall'egiziano e un tiramisù da Fiore...
    Aaaaa se ci rimpiangeranno sti "capi" illuminati, il giorno che ci romperemo davvero le palle e li manderemo affanculo.
    Tanto come noi ce ne saranno altri, ma non troppi, perché mi sento di dire che la nostra piccola grande generazione un pò di princìpi ne ha, le prossime...boh...si vedrà.
    Sono come te, con un contratto che scade a giugno e nella testa quelle frasi ipocrite del "lavoro privilegiato" che mi trovo a fare da ormai 3 anni.
    Mi piace, da matti, come piace a te.
    Lo amo.
    Ma tutto quello che ci gira intorno....cazzo ragazzi...
    Spolpiamoli e poi eliminiamoli, razza di incapaci messi lì a "dirigere"...
    Ti abbraccio, disposta sempre a scambiare due chiacchiere, belle animate, da televendita "che-ti-regalo-anche-il-materasso-in-lattice".
    Viva la passione.Loro se la sono dimenticata.
    Fede

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  2. I blog mi annoiano da matti, spesso mi dicono: "ho aperto un blog vai a vedere" vado e mi rompo davvero le palle.
    Non riuscirei mai a scrivere un blog, rende vulnerabili, ci vuole coraggio. Poi mi arenerei sulla prima frase bella che mi viene, tipo, se avessi scritto: "Ero l’unica a prendere parte al mio personale corteo improvvisato a sostegno dei lavoratori precari" mi sarei gasato troppo e avrei intasato il cervello pensando a come fosse bella quella frase (tipo: "cavolo qui l'ho reso bene: ironia, solitudine, instabilità") bloccandomi.

    Ho letto le prime righe del tuo, in piedi prima di mangiare e PAM!
    Mi sono armato del mio nuovo minipc, pizza surgelata, coca (mista a acqua) e me lo sono letto tutto. stranamente tutto, cazzarola.
    Cara Inconcludente-recidiva, scrivi bene e devo dirti che ti ci ritrovo fra le tue righe, con qualche sfumatura in più ovviamente...

    baci

    Cello

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  3. Ciao Clod, ti ho appena salutata, dopo un mesetto che non ci vedevamo, e sono corsa a casa a leggere il tuo blog, tutto di un fiato! forse perchè uscire con te mi ha fatto sentire ancora di più la tua mancanza in quel di allmuzic o forse perche quando tutti ne parlavate, io mi sono sentita in imbarazzo perchè non avevo avuto tempo di leggere i tuo racconti-sfoghi....perdono!!!!(non so se hai notato come ho fatto finta di non ascoltarvi, con il mio finto-solito-modo di estraniarmi dalle conversazioni...un po' da montatore)

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  4. seconda parte del commento...(uff nn so postare i comment!!!)

    dicevo:
    bhe che dire: la mia dichiarazione di stima e amore te l'ho già fatta tempo fa, posso solo aggiungere che "purtroppo hai ragione clod" ma prima o poi arriverà la tua rivincita, se ne accorgeranno anche loro chi sei!!!
    coraggio!
    e bevitelo quel bicchiere mezzo pieno!
    baci

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  5. Ciao Big Z...
    Non saprei nemmeno come commentare e sai bene perché.
    Potrei aver scritto ogni singola riga di questo post e allo stesso tempo essere quello che ha ricevuto la telefonata.

    Al momento mi ritrovo, come da copione, con un bel contratto semestrale pseudoprogettuale, con zero garanzie, nessun bonus (e ne ho le palle piene di mangiare panini! 5E al giorno di pranzo=20% del mio stipendio) e ovviamente so che Se mi rinnoveranno il contratto non lo saprò prima dell'ultimo giorno di lavoro.
    oppure dopo, come è già successo, ma quella volta è andata male.

    Il problema è che sono pure contento di avere questo lavoro che non è né molto gratificante, né si avvicina minimamente a ciò che vorrei e saprei fare.

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