Friday 10 December 2010

A mollo nel traffico


Chi mi conosce lo sa: lo sport non ha mai esercitato un grande fascino su di me.
Fanno eccezione le attività ludiche che non richiedono allenamento, come il biliardo, o il bowling. Ma è chiaro che non si può definire sport qualcosa che non fa sudare e si può fare –anche meglio- bevendo birra.

È che non mi piace fare fatica. Una volta ho provato a andare a correre al parco… dopo 12 minuti ero di nuovo sulla porta di casa, con l’iPod scarico e nessuna motivazione.

Ma poi, immancabilmente, arriva il momento in cui ti trovi nel camerino di un negozio e ti vedi riflessa in tutta la tua bianchiccia morbidezza (da questo si deduce che a casa gli specchi li rifuggo come un vampiro).
E nonostante in un camerino gli specchi siano sempre strategicamente posizionati in modo da togliere almeno una taglia, la cellulite, le smagliature, la pancetta e i budini che pendono dalle braccia si riflettono benissimo. 8 ore al giorno seduta a una scrivania e i tessuti si rilassano, e mi ritrovo in un corpo di una taglia più grande di me.
Peccato che coi tessuti adiposi non si possa fare il risvolto alla caviglia come con i jeans che ci comprava la mamma alle medie.

A questo punto, decido che devo ricominciare a andare in piscina.

Ho imparato a nuotare intorno ai 6 anni e tecnicamente non ho mai smesso. Ho solo lasciato passare sempre più tempo fra una comparsata in vasca e l’altra.

Faccio un sopralluogo nella piscina che sta a 10 minuti da casa. Compatta, minimal, quasi zen. È una vasca di inox, e l’impressione è di nuotare in una gigantesca pentola. Piena di acqua gelata.

Nonostante il nuoto non richieda un grosso equipaggiamento, riesco comunque a presentarmi in tenuta fantozziana. Il mio costume, rimasto troppo tempo appeso al chiodo, ha perso tutta la fibra elastica: per entrarci mi serve il calzascarpe e, una volta indosso, tutti i bordi svolazzano come ruches. Orrore! Gli occhialini anche se tenuti stretti non sono più a tenuta stagna e quando li tolgo, per una buona mezz’ora ho gli occhi cerchiati stile panda. Spavento!

Ora, se si pensa ai tedeschi, per associazione di idee si pensa a ordine e rigore, caratteristiche sconosciute al popolo italico. Ma ci sono delle eccezioni. E la piscina è un'isola felice, dominata dal caos.
Qui infatti la piscina -ogni piscina- sembra il centro di Napoli il sabato pomeriggio: una collezione di ingorghi, seconde file, tamponamenti, parcheggi abusivi e sorpassi coraggiosi. Complice il fatto che, nella zona destinata al nuoto libero non ci sono galleggianti a determinare le corsie, è l’anarchia a farla da padrone.

Nello stesso spazio cercano di evitarsi individui che galleggiano placidi come iceberg, drop out di aquagym che saltellano da una sponda all’altra, wannabe medaglie olimpiche con tanto di bottiglietta di integratori posizionata vicino alla scaletta, e io, che vorrei solo nuotare e invece mi ritrovo a lottare per la sopravvivenza.
Cerco di mantenere una linea retta, e mi ritrovo a fare da boa per quelli che, presi da slancio agonistico, mi doppiano a ogni vasca. E così come mi infastidiscono gli abbaglianti abusati in autostrada da quelli che spingono perché cambi corsia, sono insofferente anche a quelli che in acqua, ti toccano –inavvertitamente?- i piedi per farti capire che stai rallentando la loro andatura.
La tentazione di sbagliare –inavvertitamente?- il colpo di gamba a rana e assestargli una tallonata sul setto nasale è forte.

Un’ora a mollo in queste condizioni è divertente come percorrere la tangenziale est di Milano alle 8 di mattina. Non se ne esce rilassati.

La prossima volta che mi salta in mente di cimentarmi con lo sport faccio un salto alla bocciofila. Tanto so che quando capiterà, mi ritroverò coetanea dei più stoici avventori.