Tuesday 7 September 2010

Cappadocia dreamin’


È arrivato il momento della resa dei conti: sposto il vassoio, pulisco sommariamente le dita che hanno cercato di rivitalizzare delle patatine fritte con degli impacchi di ketchup, e apro sul tavolo del Burger King il quaderno su cui ho annotato con la precisione di un ragioniere tutte le uscite –giustificate e meno- della vacanza.

C’è tensione nell’aria, la stessa tensione che si respira nelle fasi conclusive di una puntata di “OK, il prezzo è giusto”. Il tasso di cambio e gli svariati metodi di pagamento utilizzati – Questo lo pago con la carta / Questo me lo anticipi tu? / Faccio un bancomat e mi dai i contanti / Come stiamo messi a cassa comune? / E offrimelo, un gelato! - hanno reso vano qualsiasi tentativo di tracking delle finanze.

Una cosa sola è certa: una vacanza, e un viaggio, non andrebbero mai misurati in numeri. Si può fare, ma a costo di inquinarne il ricordo.

Per me e il mio compagno di viaggio, ad esempio, 17 giorni in giro per la Turchia possono essere riassunti in una sterile anche se interessante lista:

• 4 viaggi in pullman, per un totale di 28 ore e più di 2000 sobbalzanti chilometri.

• Almeno 200 chilometri in motorino, per toccare i 4 angoli della Cappadocia e raggiungere le spiagge più inaccessibili.

• 15 kebab, di ogni forma, con qualsiasi condimento ma di un’unica dimensione: killer.

• 8 stanze d’albergo, di cui 3 nello stesso, in cui ci siamo ritrovati a riempire i buchi di altre prenotazioni.

• 486 fotografie, numero imbarazzante ridotto drasticamente dopo attenta selezione e una pioggia di fotocomposizioni.

• 17 gradi di escursione termica tra Istanbul e Francoforte dove abbiamo trovato ad accoglierci una pioggerellina che sembrava dire “se non ve me siete accorti, sono finite le vacanze”.

• 2 ½ le ore di ritardo totalizzate dall’aereo che doveva portarci a Istanbul. Ritardo che ci ha fatto perdere il volo per Francoforte obbligandoci a una permanenza forzata in aeroporto che ha sfiorato le 18 ore.

E sono numeri anche quelli che campeggiano a fondo pagina sul mio quaderno, e sembrano numeri grossi. Ma le addizioni sono piuttosto semplici, e il risultato, anche grazie alla calcolatrice del cellulare, è corretto.

I numeri, al Burger King dell’aeroporto di Sabiha Gökçen, parlano chiaro.

Abbiamo speso oltre ogni aspettativa, forse perché abbiamo speso sempre senza pensarci 2 volte. Sarà stata anche colpa del cambio euro-lira turca a 1,90, che dava l’impressione che tutto costasse la metà per poi dare il colpo di grazia del 10% sul totale.

Grazie al cielo non saranno i numeri quello che ricorderò della Turchia.

Sarà la gente, che spesso, non sapendo spiegarci in inglese come raggiungere un ristorante, o una via, ci portava a destinazione quasi per mano, salutandoci con un sorriso.

Sarà la luce, e i colori che creava: cieli immensi, e l’ombra delle nuvole adagiata sulle colline.

Saranno gli spazi dove lo sguardo può vagare per chilometri, senza incrociare edifici o anima viva.

Saranno i profumi e soprattutto i sapori di una squisita cucina mediterranea sporcata da tocchi orientali

Sarà il suono del gas soffiato nelle mongolfiere, unico indizio del loro silenzioso fluttuare nell’alba rosa di Goreme sulle teste di tante persone addormentate nei camini delle fate. Come meduse giganti.

Sarà il senso di gratitudine che provo ogni volta che vengo investita dalla bellezza, in tutte le sue forme.

Andate in Turchia, prima che diventi trendy, prima che comincino a aprire discoteche con i divani bianchi e musica lounge sulla spiaggia. Prima che diventi semplice, scontata, la brutta copia di qualsiasi altro paese che si affaccia sul Mediterraneo. E armatevi di pazienza, perché anche se sconfinerete in Asia avrete l’impressione di non essere mai stati tanto a sud a livello di ritmi e di organizzazione.