Saturday 14 July 2012

Part-time hooligan


E grazie al cielo, a due settimane di distanza, nessuno sembra ricordarsi che la nazionale spagnola ha umiliato quella italiana sul capo di battaglia dell’epico scontro europeo, stravincendo con punteggi da oratorio una partita di rilievo per il mondo del sempre meno nobile giuoco del calcio.

Non abbiamo vinto gli europei. “Abbiamo” chi, poi? Io non ero a Kiev, domenica primo luglio: non ero né in campo, né in panchina, né tantomeno sugli spalti, eppure… il calcio porta con sé un campanilismo difficile da rintracciare in altri sport e soggetto a violente derive provinciali: quanti i bresciani che hanno lamentato una mancanza di attenzione nei confronti dei giocatori nostrani, con tre concittadini pilastri della nazionale (Pirlo, Balotelli e Prandelli) e nemmeno uno schermo tirato su in piazza per la finale.

Abbiamo perso la finale contro una squadra che anche ai miei occhi inesperti è risultata nettamente più forte, con la palla che continuava a rimbalzare tra i piedi di giocatori spagnoli di cui continuerò a ignorare il nome con la rapidità della pallina di un flipper.

Io la finale l’ho vista tutta, anche se non l’ho proprio vissuta: sprofondata in poltrona dopo un’overdose di carboidrati, mentre cullavo una birretta e mi sbriciolavo patatine in grembo, ho fatto fatica a tenere gli occhi aperti per l’intera durata del secondo tempo, quando tutto poteva ancora succedere ma quando già nessuno ci credeva più. Con gli altri 8 casual supporter, abbiamo sportivamente aspettato il doppio fischio dell’arbitro per lasciare casa e vagare in un centro città deserto alla ricerca di un gelato. Non spinti dal bisogno di consolarci, ma semplicemente consapevoli di meritarci una ricompensa per la lunga sopportazione.  
Non avevamo motivo di rimanerci male: d’altronde, nessuno che dica una frase qualsiasi di quelle riportate qua sotto può considerarsi un tifoso:
“Vabbè dai, non sono mica i mondiali… E poi non dimentichiamoci che i crucchi li abbiamo mandati a casa”
“Era peggio se perdevamo ai rigori, no?”
“Chissà che servizietto gli fa Shakira a Piqué questa sera…”

Le qualificazioni invece, mi hanno incuriosito di più: come quando la sera di Italia - Inghilterra sono rientrata a casa dei miei a un’ora in cui i miei sono solitamente in fase rem per trovarmeli entrambi con il fiato sospeso davanti ai rigori. Mio padre, che non concede mai alla televisione il 100% di attenzione, quella sera non aveva il giornale dispiegato sulle ginocchia e quando Pirlo si è dilettato con il cucchiaio, ha accennato un applauso.  

La semifinale ho rischiato di non vederla: sapevo che sarei rientrata tardi a casa e che ci sarei rimasta, e mi ero studiata la guida TV. Sapevo anche che c’era la partita, ma la controprogrammazione mi aveva già messo in difficoltà: alla stessa ora davano anche Milk, il film di e con Sean Penn, e un documentario sulla minigonna. Il progetto era quello di iniziare con il documentario, passare alla partita al secondo tempo e in caso di noia ripiegare sul film che comunque avevo già visto.
Il mio piano sapientemente elaborato ha subito però una brusca modifica quando ho aperto la porta e ho visto Marta, la mia coinquilina, in assetto da hooligan. La Marta, che il giorno prima l’aveva passato nel backstage della sfilata di Gucci a picchiettare lucidalabbra sulle bocche perfette di una dozzina di modelli, e il giorno stesso aveva messo le mani in faccia a Raul Bova (lo so, il mondo del lavoro è ingiusto), era sull’orlo del divano praticamente in reggiseno in un bagno di sudore, un fascio di muscoli pronto a saltare come una molla, con il collo allungato e gli occhi alla Schillaci che non perdevano nemmeno un’azione.

In effetti, la disposizione dei mobili nel nostro appartamento non è il massimo: la TV, redenta sulla via dell’isola ecologica, ha uno schermo bonsai e per leggere le grafiche bisogna starci a un metro di distanza. Peccato che il divano si trovi ad almeno 3 metri dal mobile TV, e che tra il divano e la TV troneggi il tavolo da pranzo. Ma la necessità aguzza l’ingegno, si sa: approfittando della pausa tra primo e secondo tempo  ci siamo inventate un improbabile accrocchio di cavi, mettendo a repentaglio il già debole segnale dell’antenna, e questo ci ha permesso di spostare la TV sul tavolino da caffè e di goderci il secondo tempo spiaggiate come Paolina Borghese, dando fondo a un’intera confezione di oneste birre del Lidl che custodiamo in frigo per i momenti speciali. Mancava solo la frittatona di cipolle a completare il quadretto.  

Esilarante il nostro commento tecnico:
“Hai notato che prima stavamo molto più di qua che di là?”
“Ma il mediano è come il centrocampista?”
“Questo è carino. È tedesco?”
“E questo? Si è fatto le mèches?”
“Bene, ora dove andiamo a fare gol? A destra o a sinistra?”
“ohohoh Balotelli, you’re a striker…”

E poi sono arrivati i gol: e dalle finestre aperte è entrato il boato del bar sotto casa.
Io e Marta ci siamo abbracciate, consapevoli dell’assurdità della situazione: perché non c’è nessuna spiegazione logica dietro all’euforia che ti prende in momenti così, è nonostante ciò conviene non lasciar spazio ai sensi di colpa e abbandonarsi ai festeggiamenti, che una botta di endorfine ogni tanto sicuramente male non fa.