Rieccomi!
mi spiace non averti dato
grossa soddisfazione l’altra sera quando ci siamo incrociati su Skype, ma devi
capirmi: questa è la mia ultima settimana di lezione e sto dando fondo alle
ultime energie rimaste.
Ho come l’impressione che a
tutti sia concessa una quota stabilita di parole da utilizzare nell'arco della
giornata, e che io esaurisca sempre le mie a metà pomeriggio.
Un po’ è colpa del mio lavoro:
mentre volteggio con disinvoltura davanti alla lavagna brandendo un pennarello manco
fosse una bacchetta magica e declamando l’intera tabella dei verbi irregolari
che risuonano come formule oscure alle orecchie dei miei studenti, sono
costretta a parlare.
Non è semplice mania di
protagonismo: più bravo sei come insegnante, meno parole utilizzi e soprattutto
deleghi direttamente il piacere della scoperta di una nuova lingua a chi la
vuole imparare. Ma io non sono ancora una brava insegnante.
Sono un’insegnante brava,
però: sarà merito dell’impegno che ho messo in circolo, se quello che era
iniziato come un esperimento per pagare l’affitto si sta trasformando in un
lavoro, o meglio in una professione. Perché a me, in fondo, mentre uso il
pennarello come la bacchetta di un direttore d’orchestra per far ripetere alla
classe come un mantra le parole dalla pronuncia più ostica, le giornate passano
rapide e spesso liete. E forse, proprio per sovrastare la mia mania di
protagonismo, i miei studenti dicono la loro, e lo fanno quasi sempre in
inglese.
Ieri sera, nella migliore
tradizione da scuole dell’obbligo, sono uscita a cena con una delle mie classi
per festeggiare la fine del corso. Dopo aver deciso di comune accordo di usare
la nostra lingua madre una volta varcata la soglia del ristorante, abbiamo passato
la serata a passarci vassoi, riempirci bicchieri e raccontarci avventure di
viaggio. Si è instaurata da subito una familiarità che non ti aspetti in un
gruppo di persone che fino a poche settimane prima ignoravano l’esistenza degli
altri: una coppia, due mamme, una nonna, il laureando e il pensionato: una
tavolata di individui dalle età e storie più diverse, accomunati dalla
curiosità verso l’altro. Un club di cui potrei essere la presidente: da quando
sono a Roma, città che mi ha visto approdare in solitaria, mi capita sempre più
spesso di trovarmi in compagnia di persone che non mi conoscono e di sentire
che non potrei essere in nessun altro posto.
Mi ha fatto ridere il commento
che hai fatto al mio regalo di compleanno, anche se gli autori non hanno apprezzato:
per tua informazione, non dubito della buona fede dei miei amici, ma mi tocca
darti ragione: la bici a Roma può ucciderti più facilmente che nel resto del
mondo.
Fra l’altro, rendendomi
antipatica sia ai pedoni che agli automobilisti, mi impegno a usare la bici
come mezzo di locomozione, e a non destinarla esclusivamente per le passeggiate
della domenica.
Nel tentativo di costruirmi
dei percorsi che siano i più brevi e possibilmente sicuri, salgo e scendo dai
marciapiedi a piacimento, percorro dei tratti contromano e quando il semaforo è
rosso faccio lo slalom tra le macchine e mi piazzo in pole position.
Quando è venuto e trovarmi Jon,
un paio di settimane fa, ho obbligato anche lui a girare Roma in bici: nel
tratto dei fori imperiali, tra piazza Venezia e il Colosseo, l’ho tenuto d’occhio
perché perso nella contemplazione ha rischiato di investire un paio di turisti.
Quando mostro i tesori di questa città mi inorgoglisco come se avessi qualche
merito. E li mostro con lo stesso entusiasmo di quando avevo insegnato a Gilda
a portarmi il suo guinzaglio prima di fare una passeggiata, e dovevano saperlo
tutti.
Devi venire a trovarmi: sul
piano artistico e architettonico sono una pessima guida – catalogo gli edifici
in tre periodi storici: romano, rinascimentale e fascista -, ma ho già una nutrita lista di posti in cui
si mangia benissimo. E soprattutto, a differenza di qualsiasi guida turistica, il
mio itinerario si basa esclusivamente sulla voglia del momento. Con Jon abbiamo
battezzato questo approccio il totally
random tour, il cui momento clou è il tourist
spotting.
Mentre consumavamo la granita
al caffè più buona della capitale osservando attentamente il campionario di
umanità riunito davanti al Pantheon in un assolato sabato pomeriggio abbiamo
trovato il nostro turista preferito: un russo superaccessoriato a bordo di un Segway
che scattava fotografie con l’iPad. Trovava particolarmente pittoresco un gladiatore
che si è lasciato ritrarre in numerose pose, e si è quasi spaventato quando questo si è messo a
rincorrerlo sfoderando una massiccia spada di legno perché non aveva versato
l’obolo.
Oggi non devo lavorare: è una
libertà talmente sguinzagliata che passerò il resto della giornata a pensare alle
mille cose meravigliose che potrei fare e quando finalmente mi trascinerò fuori
di casa sarà ormai troppo tardi per farne almeno la metà. Ma questa è Roma: un
buco nero che assorbe i sogni, i progetti e le paure con una forza impossibile
da contrastare.
E se verrai a trovarmi te ne accorgerai anche tu.
Ti abbraccio