Thursday 6 May 2010

Flohmarkt adventures


E sono al mercato delle pulci. Dietro a un banco. Che propriamente è uno stand di un metro di larghezza e un metro e trenta di altezza che sovrasto mentre cerco di nascondermi dietro ai vestiti che ci ho appeso. I miei vicini sono l’immancabile pusher di cd e vinili –freddo, professionale, chiuso nel suo silenzio e nel suo giubbino di jeans- e un cinese che vende gioielli di plastica e che si è scocciato non poco quando sono riuscita a spiegargli, mimando il gesto “solleva il tuo tavolino e spostalo di mezzo metro” che stava abusivamente occupando il mio posto.

Non mi piace affidarmi agli stereotipi, ma se prendiamo le bancarelle come un modello in scala dei mercati internazionali io faccio la figura dell’Europa sull’orlo della bancarotta in costante lotta per la sopravvivenza contro il dragone . C’è poco da fare, i cinesi sono progettati per vendere: il mio vicino non parla una parola di tedesco, i prezzi li mostra sul display della calcolatrice, eppure in mezz’ora è riuscito a raggirare tre pensionate che dopo le contrattazioni d’ordinanza hanno lasciato il campo contente di portarsi a casa una collana di corallo per 8 euro. Corallo, certo.

Non sono nemmeno le 10. Ho bisogno di un caffè. È sabato mattina, ma la sveglia è suonata lo stesso. Nessuno si ferma a curiosare alla mia postazione: a quest’ora pattugliano i clienti professionisti, quelli che hanno fiuto per gli affari e vogliono aggiudicarsi i prezzi migliori prima della ressa e dei turisti. Non sono i miei potenziali clienti, come io non sono la loro potenziale venditrice: gli aficionados del mercato mi etichettano come nuova arrivata e mi lanciano sguardi a metà tra curiosità e sfida.

Lasciatemi giocare! Sono italiana e vendo vestiti rigorosamente handmade. Sorrido a tutte le giapponesi che mi capitano a tiro: loro fra tutti possono apprezzare del genuino italian style, a maggior ragione se è venduto “un tanto al chilo”.
Tengo d’occhio anche le fashion victim, quelle che d’annata apprezzano non solo il vino ma il Valentino, quelle che mixano lana e chiffon, quelle che il customizing l’hanno inventato loro. Quelle che sfogliando la mia minima collezione mi dicono “ma quanti colori!” con una leggera nota di disgusto.

Tu, liceale frangettata alternativa che hai lasciato 80 euro alle casse durante la tua ultima incursione da H&M –non ho tirato a indovinare, ho appena fatto la somma dei prezzi dei capi che indossi- non ti sembra fuori luogo guardarmi come se ti stessi chiedendo un rene invece che 15 miseri euro per un pezzo unico, ricamato con le mie manine?

Sì, va bene, te lo lascio a 10. Siamo al mercato, non devo stornare l’iva… Lo sconto te lo faccio alla faccia della tua bella faccia come il culo che mi ricorda tanto la mia quando mi trovo dall’altra parte di questa barricata multicolore.

Per un’assidua frequentatrice di mercati e mercatini quale sono e dopo anni di pattugliamenti all’attivo, trovarsi dietro a un banco è straniante: per la prima volta, quello che scorre davanti agli occhi non è tutto quello che potrebbe tornare a casa con te, ma tutti quei potenziali acquirenti a cui affidare-leggi rifilare- tutto quello che a casa ormai prende solo polvere.

Ma il cliente, si sa, è una preda difficile da catturare. Bisogna coglierlo di sorpresa, e quando è più vulnerabile, come un leone che si attacca allo stinco di una gazzella quando questa va a abbeverarsi allo stagno. Silent but lethal. Ecco perché quando qualcuno si avvicina al mio stand lo lascio acclimatare distogliendo lo sguardo e fingendomi “in altre faccende affaccendata”. Solo quando, una volta tornata in posizione, vedo che l’interesse non è calato e che anzi le mani sfogliano gli appendiabiti, passo all’attacco: utilizzando un curioso mix di inglese e tedesco e brandendo una maglietta a mo’ di esempio spiego che ogni pezzo che presento è unico e nasce dalla collaborazione tra me e la mutti (la più classica delle mamme italiane). E ‘stica…

I più sgamati riescono a fermarmi prima che li obblighi a provarsi un vestito in mezzo alla strada: mi zittiscono con un commento positivo e si allontanano indisturbati sotto il sorriso ebete che sfoggio mentre registro il complimento.
Sono le 2 del pomeriggio; di gente ce n’è ancora parecchia in giro, ma è ora che cominci a smontare.

Bilancio del mio primo giorno di mercato? Positivo: per tornare alla metafora economica, non ho incrementato un grosso margine di profitto ma sono riuscita a non intaccare il capitale.

È su che capitale pensate si basi un business come il mio, che sta tutto dentro a un trolley?