tag:blogger.com,1999:blog-23990621873563416432024-03-12T21:42:58.433-07:00Playground Philosophyperché la vita, in fondo, è un gioco da ragazzi...Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.comBlogger68125tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-58083356376497027952016-12-07T13:28:00.000-08:002016-12-07T13:40:16.567-08:00Come non dormire a teatro<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdojGQvfx2QmaEHGnSQZmEJy9zKFOXyEBBgo8z8qazjwaSA-YjQpGX0OqrDj6kyNme_3Xuli_5Oq92Wy0m2BRLP0yguidhEgbhUpdExkF8gCdgknjPAtUE9sXGxyC2z5ZY0CLzSVqA9hQ/s1600/nicht+schlaf.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="298" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdojGQvfx2QmaEHGnSQZmEJy9zKFOXyEBBgo8z8qazjwaSA-YjQpGX0OqrDj6kyNme_3Xuli_5Oq92Wy0m2BRLP0yguidhEgbhUpdExkF8gCdgknjPAtUE9sXGxyC2z5ZY0CLzSVqA9hQ/s400/nicht+schlaf.jpg" width="400" /></a></div>
<span class="MsoHyperlink">I danzatori si posizionano sul palco
mentre gli ultimi spettatori prendono posto, a luci accese in sala. Seguono una
decina di minuti in cui non succede assolutamente nulla. Il pubblico guarda gli
artisti rapiti dalla scenografia, tre modelli ingombranti e
realistici di cavalli morti impilati. Non c’è musica: in
sottofondo lo scampanellio pacifico di mucche invisibili al pascolo, sovrastato
dai colpetti di tosse sempre più impazienti. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span class="MsoHyperlink"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span class="MsoHyperlink">Quando le luci si spengono non parte
la musica, ma i nove sul palco si gettano uno sull'altro, iniziano a lottare e si
strappano i vestiti di dosso. Insistono finché tutti i vestiti non sono stati
strappati. Si urlano anche contro in una lingua che non riconosco. La scena </span>è
molto potente, ma dal diciannovesimo minuto perde un po’ di carica espressiva.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ritrovatisi mezzi nudi, i danzatori (che non hanno ancora
accennato un passo di danza) liberano il palcoscenico gettando gli stracci in platea e tirano fuori delle
felpe in acetato che nemmeno in classe mia all'ora di ginnastica in terza liceo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Parte una coreografia, e l’acetato fruscia e fa scintille.
Per tre minuti i nove sul palco sembrano finalmente avere capito dove sono e cosa ci fanno. Sono
scoordinati, ma hanno fisicità molto diverse e nella danza contemporanea un po’
di energia grezza ci sta. Un po’ però. I ballerini tengono il ritmo respirando,
e i loro respiri marcati si trasformano in una gara di rutti. Serissima. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
A quasi un’ora dall'inizio dello spettacolo, in regia si
ricordano di schiacciare il pulsantone del play. Sulle note di Mahler, due interpreti
si arrotolano addosso, mentre gli altri agganciano uno dei cavalli morti
a dei cavi che pendono dal soffitto, lo sollevano e poi lo riappoggiano nello
stesso punto. E altri venti minuti ce li giochiamo così.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
In modo inaspettato e ingiustificato saltano fuori dei
campanelli, che tutti i ballerini si infilano alle caviglie. L’intero teatro
viene catapultato in un’atmosfera da festa dei popoli: dopo un po’ di
tarantella, anche piacevole nel suo essere non totalmente improvvisata, due
ballerini di colore prendono possesso della scena con quello che come scoprirò
solo leggendo le recensioni è polifonia congolese. Cantano e ballano
spensierati, d'altronde il coreografo se ne sarà accorto che, proprio grazie
alle loro origini questi due ‘hanno il ritmo nel sangue’.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Senza nessun preavviso, il clima si fa nuovamente cupo e
dopo l’ennesimo scontro ci scappa il morto, che viene smutandato, sollevato da
terra, portato in processione e appoggiato sulla pila di cavalli. Peccato che dopo l’omicidio
in scena parte una musica festosa, ed è subito glee: il momento che nelle prove
veniva annunciato dall'indicazione scenica ‘ballate un po’ come cazzo vi pare…’
dal coreografo, che ne approfittava per uscire a fumarsi una sigaretta. È il
gran finale, lo percepiamo e ci speriamo anche un po’, ma Alessandra mi
sussurra all'orecchio ‘Potrebbe non finire mai!’, scatenando la mia risata isterica
e la reazione stizzita del vicino di poltrona che batte i piedi per farmi
smettere. Sono tutti stremati, sul palco e soprattutto in platea, ma ‘the show
must go on’, e per altri 20 inconcludenti minuti, durante i quali il morto si
riprende e simula un rapporto sessuale con la carcassa di un cavallo. I suoi glutei
muscolosi mi distraggono dall'eterna lotta fra Eros e Thanatos.</div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Quando partono gli applausi, ai quali il mio vicino di
poltrona non partecipa, mi sporgo verso la fila davanti e domando ‘A voi è piaciuto?’
a due ragazzi che sembrano spaesati quanto me. Uno ha la decenza di non
commentare, mentre il suo amico, guardandomi come se fossi un animale esotico, mi
risponde con un sibillino ‘Sì e no.’ Senza aggiungere altro. ‘Che cazzo
di risposta è?’ vorrei replicare ma mi trattengo, perché in fondo ci vuole coraggio ad affermare ‘La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca’. <o:p></o:p></div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-87218055371153746042016-01-15T03:14:00.000-08:002016-01-15T03:17:10.271-08:00Una vita contenuta<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Nasco cinque anni fa in Marocco, ad Essaouira, una
città che da secoli contrasta l’oceano con i suoi bastioni color ocra
saldamente piantati nella sabbia, come un transatlantico incagliato con la prua
rivolta verso il mare aperto e la poppa che guarda il deserto allontanarsi. <o:p></o:p></div>
<br />
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Un
luogo inospitale ed accogliente al tempo stesso, attraversato da gente
proveniente da tutto il mondo, che si perde nei vicoli ritagliati tra gli
edifici della Medina, dai muri troppo bianchi per essere guardati in faccia
prima del tramonto.<o:p></o:p><br />
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgs0_x7DJo0zTjOY4m6lykNhNBy7aQn7VthqJx8V0acyCggCTks81DuWEyVSiFlN3D06to5AuqtB0m7yKTCry1DEP7RYE1KwdVcN4sslxgt8ihMFY_D2VtFVSc3nYMFpMluPJW4lB0s8KU/s1600/Essaouira2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="105" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgs0_x7DJo0zTjOY4m6lykNhNBy7aQn7VthqJx8V0acyCggCTks81DuWEyVSiFlN3D06to5AuqtB0m7yKTCry1DEP7RYE1KwdVcN4sslxgt8ihMFY_D2VtFVSc3nYMFpMluPJW4lB0s8KU/s400/Essaouira2.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Sono
di origini umili, e ho passato la mia infanzia in un mondo fortemente
intrecciato con le tradizioni. I miei primi ricordi sono legati alla conceria,
dove ho passato lunghe settimane immersa in un liquido immondo fatto di cenere
mescolata con urina di mucca e guano di piccione; ero intrappolata in una vasca
scavata nella roccia, costretta a respirare miasmi soffocanti, e ogni giorno
arrivava uno dei ragazzi che mi prendeva per un angolo e mi trascinava di peso
all’asciutto solo per battermi, grattarmi, tirarmi, strizzarmi e quando ero
prossima allo strappo mi ributtava nel fetido buco a cui non mi sarei mai
abituata. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Ogni
giorno speravo fosse l’ultimo e nonostante qualcuno di noi passasse
regolarmente alla vasca del lavaggio e veniva steso ad asciugare, potendo
finalmente stiracchiarsi al sole e seccare l’odore che era penetrato in
profondità, eravamo obbligati ad aspettare finché i conciatori, sempre in
bilico fra gli orli delle vasche, non avessero deciso che eravamo pronti.<br />
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEaq1B4MqLdNCovXT6ZQ63V-s6Vk5mHUHFbARMI9LBJIi6nrzZttpQxNxm2t4E5DP0qOfPbLXPjPXPIvqQOArO2-4MERIlJFMupHsfbZjyiwb1WJbbuJ8wWomFw5gGi3L97DlkJBcuDKQ/s1600/fez-concerie.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="185" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEaq1B4MqLdNCovXT6ZQ63V-s6Vk5mHUHFbARMI9LBJIi6nrzZttpQxNxm2t4E5DP0qOfPbLXPjPXPIvqQOArO2-4MERIlJFMupHsfbZjyiwb1WJbbuJ8wWomFw5gGi3L97DlkJBcuDKQ/s400/fez-concerie.jpg" width="400" /></a></div>
Crescendo
ho conosciuto borse privilegiate, la cui pelle è stata trattata con il cromo:
in poche ore sono passate dal ricoprire un animale alle montagne russe di
grosse cisterne di acciaio simili a lavatrici dove la chimica le ha rese
materiale lavorabile: loro non hanno subito la violenza psicologica
dell’attesa, dell’eposizione agli agenti atmosferici, dei turisti che ti
guardano dall’alto e ti fotografano proprio quando sei più vulnerabile,
storcendo il naso per il disgusto. Noi di cuoio marocchino le chiamiamo le industriali:
sono pelli asettiche, che sembrano create in laboratorio e non conservano più
traccia della loro provenienza animale. Noi invece temiamo il contatto con
l’acqua, proprio perché fa emergere la nostra natura selvaggia: quando ci
bagniamo rilasciamo quei coloranti naturali che fanno fatica a fissarsi e
soprattutto un’ombra olfattiva dei nostri lunghi bagni nella merda.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
La
conceria è un’esperienza difficile che ti rende morbida ed insieme resistente:
nessuna borsa in ecopelle, per quanto ben fatta, potrà resistere come noi al
passare del tempo: arriva per tutti un momento complicato e se noi ce la
caviamo con un graffio, l’ecopelle si taglia, lo strato superficiale si
sgretola e lascia intravedere l’anima di plastica. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Loro
dicono che si ‘spellano’ ma mai termine fu meno appropriato.<br />
<br />
<div class="MsoNoSpacing">
Quando
si cresce in Marocco, non è facile allontanarsi dalle proprie origini: la
maggior parte del pellame che era con me in conceria è finito ad ornare i cesti
di paglia intrecciata che affollano i souk; ogni cestino cerca di distinguersi
dalle altre centinaia di borse simili con cui viene appeso sopra al banco per
un dettaglio nella decorazione: ci sono quelli con gli specchietti applicati,
le nappine colorate, elementi in metallo, e poi perline, pailettes e
addirittura i pizzi di plastica ritagliati delle tovaglie usa e getta.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
L’ambizione
delle borse da souk è quella di essere acquistate e prestare servizio sulla
spiaggia, trasportando il telo, la crema solare e la settimana enigmistica, o
di fare una comparsata al mercato, al braccio di una donna che ha visto la
pubblicità di Dolce & Gabbana e che, nel ruolo di una Sofia Loren
contemporanea, non vuole mettere frutta e verdura nel trolley di tela cerata
stampa tartan che usa anche sua nonna – e la Loren stessa, suppongo.<o:p></o:p></div>
<br />
<div class="MsoNoSpacing">
Ma
queste borse di paglia non possono contare su una lunga carriera: non sono
troppo capienti e non si possono chiudere, hanno manici corti che lasciano
un’ombra marrone sulle mani sudate, e perdono facilmente i loro strati di
trucco e gli abitini estivi. Sono quegli accessori che come tutti i souvenir
azzerano il loro fascino una volta che la valigia viene disfatta.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEia0974hfLTNh9pHfZqN-5CnqHaVgjIIVeeGr_qHHchdRTgqiu1ViTK5aD-gq_infSGYEjDdEqvAL8ssHqupdiJI8wIb0MTc3_N4It_tRQ-yxmQxD2mMPUg5mlVfdo4RxNvsk-4QzvPm3A/s1600/cestini2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="222" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEia0974hfLTNh9pHfZqN-5CnqHaVgjIIVeeGr_qHHchdRTgqiu1ViTK5aD-gq_infSGYEjDdEqvAL8ssHqupdiJI8wIb0MTc3_N4It_tRQ-yxmQxD2mMPUg5mlVfdo4RxNvsk-4QzvPm3A/s400/cestini2.jpg" width="400" /></a></div>
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<div class="MsoNoSpacing">
Ma
io ero diversa, e l’ho capito presto: invece che essere lasciata del mio colore
naturale, in conceria mi hanno tinto di rame con riflessi dorati: era come
trovarsi a capo scoperto ad esibire le meches fresche di parrucchiere alle
donne della medina con i folti capelli scuri nascosti sotto l’hijab. Non potevo
sopportare gli sguardi di disapprovazione dei conservatori, dovevo lasciare
Essaouira al più presto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Dalla
conceria passo quindi al piccolo laboratorio di una designer che mi aiuta ad
evolvere nella mia forma definitiva: sono rettangolare, ho 3 pieghe, una comoda
apertura superiore a zip e una tracolla laterale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Non
appena finita la fase dello sviluppo, lascio il laboratorio per trasferirmi in
un piccolo negozio dai colori accesi e dai ritmi rilassati: sto seduta su un
pouf insieme ad altre giovani borse, ascolto tanto musica che viene da lontano
e tengo gli occhi fissi sulla porta, aspettando la persona che mi porterà via
con sé. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ricordo
bene quel periodo: entravano tante donne, soprattutto turiste, curiose di
visitare un atelier: alcune non mi notavano nemmeno, altre mi accarezzavano e
poi mi riappoggiavano sul pouf dopo aver letto l’etichetta del prezzo. La
spensieratezza generale era però venata da stress: magari stavo chiacchierando
con la borsa dello scaffale di fronte, fantasticando su cosa ci sarebbe
piaciuto nascondere, contenere o trasportare, e in un attimo quella veniva
sollevata, appoggiata vicino alla cassa, infilata in una busta di plastica
lasciando così per sempre il mio campo visivo e la mia vita; ero consapevole
che poteva succedere in ogni momento, ma non mi sono mai sentita pronta per
questi frettolosi addii.<o:p></o:p></div>
<br />
<div class="MsoNoSpacing">
Finché
un giorno, un giorno come gli altri, non sono entrate in negozio due sorelle
italiane e dopo averci spupazzate tutte hanno scelto me. Senza rendermene conto
ero io quella che lasciava Essaouira senza salutare.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Non
è stato amore a prima vista il nostro… Sono stata selezionata dopo un’attenta
analisi su quali colori e forme potevano avere più possibilità di non stancare,
come succede con i cestini del souk. Ho attraversato altre 4 città del Marocco
chiusa nello zaino e una volta in Italia le altre borse mi hanno fatto spazio
nell’armadio.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Sono
l’unica non europea del gruppo e anche se la mia forma la ricorda, non potrei
mai essere scambiata per una pochette: parlo un francese scolastico con un
forte accento arabo, non sono di certo una taglia extra small, non ho la rigidità
di una clutch, ma mi adatto alla mano che mi stringe o al fianco su cui mi
appoggio; qualsiasi borsa da sera si vergognerebbe a riempirsi fino a mostrare
delle rotondità, mentre io non ho spigoli vivi, sono molto più capiente di
quanto sembro e sono contenta di rendermi utile.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Non
sono una borsa di città, che mal sopporta i lavori manuali, un contenitore
fragile anche all’interno: io non ho una fodera di seta, ma sono doppiata in
pesante broccato con disegni ispirati ai tappeti del mio paese d’origine. Ho
pure una tasca, profonda, perché devo tenere separati telefono e chiavi di casa
senza che nessuno si graffi, me inclusa.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ho
la cerniera a vista, delle borchiette su un fianco e invece che un laccio corto
da legare al polso, da un gancio laterale mi parte un’unica tracolla fatta di
tante listarelle di pelle intrecciate. Sono comoda senza essere fuori luogo in
una situazione formale, e questo mi ha permesso di essere scelta per svariate
occasioni. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqYDUaHNbaXcYzcj8XXtTF_zvwW5KOX4iDo5hPmIqFKoSCCtTBuJoUFwlUiZZ6Z-VeDxwZkEOxGMCVrv_Bf8HAKp9xHdjglsIc8R4pa9igtFoSrAVqJqJAQ614R7vDbdJ0aZCiMnE05e4/s1600/IMG_1884.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqYDUaHNbaXcYzcj8XXtTF_zvwW5KOX4iDo5hPmIqFKoSCCtTBuJoUFwlUiZZ6Z-VeDxwZkEOxGMCVrv_Bf8HAKp9xHdjglsIc8R4pa9igtFoSrAVqJqJAQ614R7vDbdJ0aZCiMnE05e4/s400/IMG_1884.JPG" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Sono
in Italia dal 2011 ormai, e le mie colleghe sono diventate anche le mie amiche.<o:p></o:p></div>
<br />
<div class="MsoNoSpacing">
Condivido
lo scaffale con borse che hanno 40 anni di servizio alle spalle: hanno
accompagnato due generazioni, perso e cambiato colore, conquistato graffi e
pieghe sul campo, cercano di non mostrare la fodera rattoppata, i denti della
zip che si inceppano, ma sono passate allo status di vintage e qualcuno si gira
a guardarle chiede loro l’età, ma in modo garbato, come la si chiede ad una
signora solo per poterle fare i complimenti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ci
sono poi le borse da battaglia, le mie preferite: quelle che escono di casa
tutti i giorni, prendono i mezzi pubblici, la pioggia, gli spigoli dei libri
nei fianchi oppure cadono dal sedile dell’automobile per una frenata brusca e
vomitano il contenuto sui tappetini. Le borse che non vengono svuotate quasi
mai, che passano la vita appese per i manici all’appendiabili. Fanno un lavoro
logorante, ma conoscono il mondo meglio di tutte noi altre messe insieme.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
E
poi ci sono le borse nobili, quelle che non hanno mai avuto bisogno di
lavorare: c’è questo secchiello di coccodrillo che si gode la pensione avvolto
in una federa di lino sul ripiano più alto dell’armadio, e che ogni tanto viene
invitato ad un evento. I suoi racconti spaziano dall’infanzia dorata di cui
descrive le cure ricevute durante la manifattura esclusiva, alla fama sotto i
riflettori delle vetrine del centro da cui sosteneva lo sguardo di tante donne
che volevano possederlo. ‘Io non sono mai stato un semplice contenitore’
afferma, ‘negli anni '80 ero un simbolo, non dovevo nemmeno presentarmi... Il
mio status bastava. Con la crisi sono diventato anacronistico, un’offesa a chi
non ha i soldi per arrivare alla fine del mese. Sono troppo sbruffone per
essere portato in un luogo pubblico. Ma invecchierò come il vino buono,
aumentando di valore, e sono già pronto alla mia nuova stagione di gloria’.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Io
per ora ho un contratto a chiamata, e lavoro di solito il sabato sera: sto bene
con tanti colori, non ho una stagione preferita e vado d’accordo sia con i
tacchi che con i jeans. Per questo sono spesso in libera uscita.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Il
mio momento preferito sono i matrimoni, e ne ho visti parecchi: seguo la
cerimonia dal banco della chiesa, vicino ai fiori, e una volta al ristorante
vengo adagiata su una tovaglia candida e torno a casa piena di ricordi. Ho
imparato a nascondere un confetto sul fondo perché voglio riempirmi del suo
profumo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
La
discoteca invece mi piace meno: mi ricordo il mio primo capodanno, passato su
uno sgabello soffocata dai cappotti di tutti: un inferno. Sentivo solo le
giacche lamentarsi del caldo, e io per la prima volta ho avuto paura di essere
rubata, o abbandonata lì. Mi avevano tolto anche il compito di custodire il
portafoglio, mi sentivo inutile così svuotata.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Forse
il mio attacca di panico ha lasciato il segno perché da allora vengo sempre
lasciata in guardaroba, di solito uno stanzino freddo e inospitale, dove mi
buttano in terra in un angolo, con un adesivo orrendo appiccicato in faccia e
devo aspettare ferma per ore, mentre la musica che rimbomba nei muri mi fa
venire il mal di testa. Non capisco perché mi portano a ballare se poi non
posso scendere in pista… <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Quando
torno nell’armadio puzzo di fumo e le altre mi chiedono se mi sono divertita.
Sopporterei meglio un pomeriggio chiusa nell’armadietto della palestra, con i
calzini sporchi dimenticati.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ogni
tanto faccio un trattamento di bellezza, e un batuffolo di cotone imbevuto di
latte detergente mi accarezza da cima a fondo, togliendo la sporcizia che ho
assorbito sul lavoro e lasciandomi morbida e profumata. È un momento
bellissimo, che mi rilassa e mi prepara a quelle che mi piace chiamare ferie.
Non sono ancora pronta ad essere dismessa, a finire in una custodia di cotone
nel ripiano più alto, anche se lo so che presto arriverà una borsa più giovane
e carina di me, con la voglia instancabile di uscire a fare serata. <o:p></o:p></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Quando
fantastico sul mio futuro ho un solo desiderio: quello di essere riscoperta:
immagino un trasloco, o una pulizia dell’armadio, quando nessuno si ricorderà
più di me; forse finirò in uno scatolone, forse in un negozio dell’usato,
chissà… Ma spero di incrociare di nuovo lo sguardo curioso di una donna che mi
solleverà, infilerà la mia tracolla sulla spalla, e sorriderà alla sua immagine
allo specchio.</div>
</div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-74982601666927864972013-12-20T03:21:00.001-08:002013-12-20T03:21:52.001-08:00All Stars e Gazelle<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFLo2FgflxNjTXwot7Wwir2K3Z7CTLiym7PKrjUdkExymDSlPIsdlU6IJC7xW1c2Wqpbn9WRtXyU6mw3hVtKm241Fst7pcAUFkF0xyg4bn4VHqecQOrZgfOBOaPxrCRX-b-ZvOF9wP9aw/s1600/IMG_8615.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFLo2FgflxNjTXwot7Wwir2K3Z7CTLiym7PKrjUdkExymDSlPIsdlU6IJC7xW1c2Wqpbn9WRtXyU6mw3hVtKm241Fst7pcAUFkF0xyg4bn4VHqecQOrZgfOBOaPxrCRX-b-ZvOF9wP9aw/s400/IMG_8615.jpg" width="300" /></a></div>
<u>Brescia, Claudia dal calzolaio</u><br />
<br />
“Buongiorno, quanto costa rifare il tacco?”<br />
“Mi faccia vedere… Per questo posso fare dieci euro”<br />
“D’accordo. Quando posso ripassare a prenderli?”<br />
“Fra tre giorni sono pronti.”<br />
“Perfetto.”<br />
“Che nome metto?”<br />
“Claudia”<br />
“Ecco a lei. Si ricordi di riportare il cedolino. Grazie e arrivederci.”<br />
“Grazie e lei.”<br />
<br />
<u>Roma, Claudia dal calzolaio</u><br />
<br />
“Questi sono i miei stivali preferiti”<br />
annuncio, estraendo i miei stivaletti grigi da una borsa come un coniglio dal cilindro.<br />
Sono un paio di scarpe consumate al punto da giustificare il lancio nel bidone della spazzatura, ma non riesco ad abbandonarli. Abbiamo fatto tanta strada insieme. Letteralmente.<br />
Ricordo persino l’ultima volta che li ho fatti aggiustare: a Madrid la suola dello stivale sinistro si era scollata sul davanti, e sembrava mi parlasse, mentre camminavo: se avessi ascoltato avrei sentito una vocina che diceva “lasciami qui, non ne posso più!” E invece avevo trovato qualcuno disposto ad incollarli e obbligato i miei stivali a disegnare traiettorie irripetibili perdendoci insieme nell’ennesima città.<br />
Una volta invece, in Marocco, ho detto addio alle mie All Stars dopo anni di appassionata convivenza. Le ho lasciate sul lungomare, baciate dal sole, posizionate per la foto ricordo con la lingua rigirata all’esterno e i lacci sciolti, come se, esauste, avessero infine trovato il posto perfetto dove fermarsi. <br />
<br />
“Scusa, posso?”<br />
Il calzolaio allunga la mano, prende gli stivali e li appoggia sul banco, per analizzarli più da vicino.<br />
Io analizzo lui: non pensavo che il calzolaio fosse un lavoro per giovani. Si accorge del mio interesse, ma lo interpreta come sospetto:<br />
“Ah, scusa per le mani, sono ancora nere perché stavo verniciando. Ma non preoccuparti, non sporcano.<br />
Avrà più o meno la mia età: mercoledì sera calcetto con gli amici, domenica allo stadio, giovedì prove con la band: sono anni che perfezionano i loro pezzi, ma non si sentono mai abbastanza sicuri da aggiungerli in scaletta alle cover che suonano in concerto. Non riesco a trovare traccia di una donna.<br />
Cosa è successo qui?” chiede, mostrando il tacco consumato sul lato esterno<br />
“Lo so, faccio così a tutte le scarpe, cammino tutta storta…”<br />
“No, è che non sollevi i piedi!”<br />
Tiro indietro istintivamente le spalle e raddrizzo la schiena, come a mascherare un difetto di postura o la svogliatezza che mi portano a trascinarmi mollemente sull’asfalto invece che galleggiare a una spanna dal suolo. Il calzolaio riporta l’attenzione sugli stivaletti: li avvicina alla luce, fa passare un dito lungo il bordo, saggia con i polpastrelli la tenuta delle cuciture, con tanto affetto da provocarmi un moto di gelosia. <br />
Sbircio in basso sotto al bancone per soddisfare una curiosità: in linea con la felpa col cappuccio e la maglia dei Fugazi, in fondo ai jeans spuntano delle Adidas Gazelle rosse. Cosa mi aspettavo di trovare, dei mocassini in coccodrillo?<br />
<br />
“E qui? Come mai è così?” mi mostra il tacco destro, dove manca un pezzo di para.<br />
“Lì è stata Rita, il coniglio che ho a casa. L’ultima volta che ho lavato gli stivali li ho messi in giardino ad asciugare, e Rita è saltata sul muretto per assaggiarli. Fortunatamente non gli sono piaciuti.”<br />
“È che i conigli hanno bisogno di rosicchiare, perché i denti davanti continuano a crescere. Glielo dai del pane secco?”<br />
Il calzolaio attende la mia risposta guardandomi negli occhi e io non posso far altro che confessare:<br />
“Quello lo lanciano i vicini dal terrazzo. Meno male, perché se quel coniglio dipendesse solo da me sarebbe morto di fame molto tempo fa.”<br />
Ricevo un’altra occhiata piena di disappunto. La battuta non è stata apprezzata. Possiamo tornare a parlare delle mie scarpe adesso?<br />
“Allora, per aggiustarli devo sostituire questo pezzo” mi fa, mentre strappa la suola consumata.<br />
“Benissimo. Ma posso anche aspettare. Adesso non…”<br />
“Guarda che non riesco a farteli prima di venerdì.”<br />
“Certo. Venerdì è perfetto. Quanto ti devo?"<br />
“Per questa riparazione chiedo 7 euro. E vedi che con 7 euro non ti fa più niente nessuno.”<br />
“Hai ragione. Anche se ultimamente ho notato che qualche negoziante ha provato ad alzare i prezzi, con la scusa che adesso il Pigneto è di moda.”<br />
“Ma noi non possiamo mica chiedere i soldi che chiedono al centro!”<br />
“Sono d’accordo” affermo, mentre allungo i soldi per pagare. Resto con il portafoglio aperto per accogliere lo scontrino che non viene stampato.<br />
“Fra l’altro, anche questa cosa dei quartieri trendy… Ho letto che adesso puntano tutti sul rivitalizzare il Quadraro…” lo dico con la sicurezza del collaboratore di Vice, sito che il mio calzolaio probabilmente non frequenta.<br />
“Ma che se ne vadano tutti al Quadraro e ci lascino in pace a noi. Senti, che nome metto?”<br />
“Claudia”<br />
“Bene cara, ci vediamo venerdì” Niente ricevuta, niente cedolino.<br />
“Va bene. A venerdì. Grazie.”<br />
<br />
I miei stivali vengono riposti su una mensola, addossati a altre decine di scarpe bisognose di cure. Li guardo un’ultima volta e infilo la porta: questo è un arrivederci, non un addio.<br />
<div>
<br /></div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-26391493196736032812013-11-30T08:46:00.001-08:002013-11-30T08:46:49.116-08:00La prepotenza del cardigan<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3uOOiHSGs1fQCXLL4LnkZWH6YugxGjk6RrKBxCNKm7aTQfpoOeSGbxbn0soFHmoNepPJtEK2xknW5OlcOVFE0ixq7Ay4hyB5HgbWOnA9A3VeMfpUAq_HYjlMSJiKEWdXwyfkFPLEgMSA/s1600/bike2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="268" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3uOOiHSGs1fQCXLL4LnkZWH6YugxGjk6RrKBxCNKm7aTQfpoOeSGbxbn0soFHmoNepPJtEK2xknW5OlcOVFE0ixq7Ay4hyB5HgbWOnA9A3VeMfpUAq_HYjlMSJiKEWdXwyfkFPLEgMSA/s400/bike2.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Addento un biscotto mentre mi allaccio le scarpe: sono
seduta sull'orlo della sedia perché sulla schiena c’è già appeso lo zaino che
mi porterò in giro tutto il giorno. La devo smettere di rimandare la sveglia
ogni cinque minuti per mezz’ora. Voglio fare colazione come una cristiana:
attendere che la moka gorgogli diffondendo l’aroma di caffè in tutta la cucina,
imburrare il pane, mettere tazza e piattino in lavastoviglie, lavarmi i denti.
E invece fra quaranta minuti devo essere in classe. E non posso più fare
ritardo, da quando insegno. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Cla, lo vuoi un goccio di caffè?” mi chiede Valentina,
ancora in pigiama, seduta a gambe incrociate come un Buddha davanti a una torre
di fette biscottate imburrate, immune alla mia ansia. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Grazie, ma devo scappare. Adesso.”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Lo sai, vero, che
c’è lo sciopero dei mezzi?”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Cosa? Anche oggi?”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“È venerdì, ormai è tradizione”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Ma io a questi dell’ATAC pago anche i biglietti...”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Sbuffando vistosamente, recupero la bicicletta e impreco
contro Matteo e la sua mania di andare a lavoro con la camicia stirata: il
corridoio è bloccato dall’asse da stiro. La sorpasso strusciandomi contro la
parete che ricambia lasciandomi un’ombra bianca sulla giacca. La porta
d’ingresso mi sputa dentro a una mattina che promette pioggia. Alzo il colletto
e spingo sui pedali. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
La strada più veloce è la zona pedonale del Pigneto,
occupata da un mercato colorato e chiassoso come la cartolina del mercato
romano. Sempre pedalando, disegno un percorso spezzettato fra passeggini, cani
al guinzaglio e cassette di frutta e verdura. Quando appoggio un piede a terra
per far attraversare un gruppetto di studenti diretti in biblioteca sento
distintamente queste parole: “anvedi n’artra stronza”.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Come ha detto scusi?” mi sento chiedere, mentre osservo la
mia mano che stringe la manica di una giacca di tweed indossata da un distinto
signore sulla settantina, senza sapere come ci è finita. I nostri sguardi si
incrociano ma nessuno dei due accenna a muoversi. “Lei mi ha detto stronza?”
rincaro la dose, con la voce che mi si alza di un’ottava e stringendo la presa.
Il signore in tweed, ripresosi dallo shock, prima tenta una poco convincente
ritirata “dicevo a quella di prima” e poi, come ricordandosi il motivo di tanto
fastidio se la prende con me e la mia bicicletta “è che voglio essere libero di
circolare” mi urla, la mano a pugno davanti alla faccia, il mazzo di chiavi
stretto con tanta veemenza da far venire le nocche bianche. Quel pugno che mi
agita all’altezza degli occhi mi fa desistere: lascio andare il braccio e
indietreggio. “Beh, non c’è bisogno di dirmi che sono una stronza!”: voglio
urlare anch’io, ma ogni volta che provo ad alzare la voce la gola si stringe e
mi esce uno stridulo strozzato. Un paio di signore, vinte dalla curiosità abbandonano
per un attimo lo studio dei carciofi e ci separano. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Me ne vado senza dare spiegazioni, portando la bici a
mano, consapevole che questo mio gesto equivale a sventolare bandiera bianca.
Hai vinto tu, prepotenza. Ma ti smaschererò sempre, anche quando ti nasconderai
di nuovo sotto a un cardigan marroncino.
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
In classe sono distratta: continuo a rivedere la stessa
scena e a immaginarmi finali alternativi: io che investo l’anziano signore con
la bici, che gli rubo il mazzo di chiavi per gettarlo in un tombino, che me ne
sbatto dell’insulto e continuo a pedalare sulla strada che a quanto voleva
farmi credere è di sua proprietà. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Nonostante il torto subito bruci ancora, sulla strada del
ritorno evito la zona pedonale, per paura di dovermi giustificare con qualcun
altro. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Nella via di casa, quando mi fermo per lasciar uscire una
macchina dal parcheggio, la custodia vuota di un cd mi rimbalza su una scarpa.
La traiettoria non lascia dubbi: è stato lanciato dal finestrino della macchina
in manovra. “Scusi!” apostrofo l’uomo alla guida, facendo attenzione a dargli
del lei “ha buttato questo per terra?” lui si gira nella mia direzione e
riconosce il pezzo di plastica che ho recuperato dal marciapiede “no, l’ho
buttato per aria!” mi risponde, serio, incolpando la forza di gravità. Quando
mi rendo conto che il mio braccio ha lanciato la custodia all’interno
dell’auto, il brivido dell’istinto mi dà il coraggio di ribattere: “se questa
città è un cesso, è anche colpa sua”. La sorpresa del mio tono più sicuro non
dura molto, spazzata via da un sentito “ma vedi d'annàffanculo!”, che il mio
interlocutore, a disagio nella dimensione del dibattito, ripete con intensità
sempre maggiore finché non svolta intorno all'isolato.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Non ho vinto nemmeno stavolta -e cosa mi aspettavo, che l’autore
di un gesto così irrispettoso si scusasse e scendesse dalla macchina per
gettare i rifiuti nell’apposito bidone?- e i finali alternativi sono carichi
dell’aggressività che sembra regolare i rapporti in questa città -su tutti, io che lo
immobilizzo storcendogli il braccio contro la carrozzeria mentre uso la
custodia del CD per rigargli la macchina.</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Sono ancora ferma sul marciapiede, quando l’adrenalina
evapora. L’autocontrollo mi sta abbandonando. <o:p></o:p></div>
<br />
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Come era successo poche ore prima, il corpo non ha
aspettato che la mente vagliasse le possibili conseguenze del gesto prima di
agire. E questo è allo stesso tempo elettrizzante e spaventoso. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Imparerò a conviverci. <o:p></o:p></div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-69587138666737463922013-09-30T06:16:00.001-07:002013-09-30T06:16:57.132-07:00Le relazioni pericolose<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-0h7Un4kR76ZreMnk356H3MwNVoNK6uJLVyXlLWb9Wws_tqXDjV2bojA1d2i02y-QPG3ubfQOYsur9E11ui2FXgE5XLAMV9FMTt3Xw9UPGEGxdEdRw7N-4neRTzlIxsygE9d_ySllHZI/s1600/gambe.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="270" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-0h7Un4kR76ZreMnk356H3MwNVoNK6uJLVyXlLWb9Wws_tqXDjV2bojA1d2i02y-QPG3ubfQOYsur9E11ui2FXgE5XLAMV9FMTt3Xw9UPGEGxdEdRw7N-4neRTzlIxsygE9d_ySllHZI/s400/gambe.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
La vibrazione del cellulare lo fa scivolare giù dal
comodino. Girarmi su un fianco e allungare il braccio sotto al letto per
recuperarlo è un’impresa che potrei giustificare solo regalandomi un altro paio
di ore di sonno.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Ho dormito poco, di quel sonno che non riesce ad essere
ristoratore, la cui premessa è il matrimonio di amici e quindi l’anarchia
totale in merito a quando e quanto mangiare, bere e fumare. Il sonno matto e
disturbatissimo che precede la giornata dei sensi di colpa a tema salutistico.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Il cellulare, intanto, non smette di squillare. È una
chiamata da un numero sconosciuto, che maledico e scelgo di ignorare. Non
faccio in tempo a spegnere il telefono che lo stesso mittente ci riprova. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Mi
arrendo di fronte all'insistenza e per zittire la suoneria rispondo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘Pronto?’ </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Dice una voce di due tonalità più bassa di
quella che ho quando sono in posizione verticale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘Buongiorno. Parlo con Claudia?’<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Uomo, giovane, accento romano, cadenza professionale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘Sì, sono io’<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘Ti disturbo? Stavi dormendo?’<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘Diciamo che ero ancora a letto. Ma ero sveglia’ (da un
paio di minuti almeno).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Ho la lingua di pile, gli occhi iniettati di sangue e
cerchiati di mascara. Mi sono buttata a letto senza sfilarmi il reggiseno.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘Mi dispiace! Senti, ti chiamo in
merito all'annuncio che hai postato su Bakeka per le lezioni
d’inglese. Ma in realtà non mi interessano le lezioni.’<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Mi metto a sedere, e cerco di anticipare quello che mi
verrà offerto. Mi decido a ritagliarmi uno spazio online per aumentare la
visibilità in campo lavorativo e cercheranno di rifilarmi la qualunque, già lo
so.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘Io lavoro per la Fashion Image e stiamo per realizzare
un corto che si ispira al film ‘le relazioni pericolose’. L’ha visto?’<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘No, ma potrei documentarmi…’<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘Guarda, te lo racconto io: in breve è la storia di una
professoressa universitaria che seduce uno dei suoi studenti. Noi
stiamo cercando una persona che sappia parlare inglese per interpretare la
parte della professoressa, e abbiamo trovato il tuo annuncio.’<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘Ah. Ok…’ <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Mi alzo e scendo in cucina in cerca di caffè e di un
foglio dove prendere appunti. Questa non è una telefonata da affrontare di
domenica mattina. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Il mio interlocutore intanto recita la sua parte di
casting director e cerca di darmi tutti i dettagli prima che io riesca a
formulare delle domande. Ogni volta che dice <i>chesting</i> mi mordo la
lingua per non correggerlo. Un paio di lezioni di inglese non fanno male a
nessuno. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘Tu hai esperienza?’<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘Come insegnante o come attrice?... Beh, ho lavorato per
un po’ in televisione, ma non sono mai stata davanti alla telecamera’<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘Vedi Claudia, questa professoressa è un po’ dottor
Jekyll e mister Hide: deve essere seria, professionale ma allo stesso tempo provocante:
in fondo è la storia di un amore proibito. Nell'annuncio hai messo
una foto, un primo piano. Posso chiederti come sei fatta? Le tue misure?’<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
La caffeina non è ancora entrata in circolo e prima di
indagare sull'importanza delle mie misure rispondo, anche se mi tengo
sulla difensiva ‘Sono normale: né alta né bassa, né grassa né magra. Normale’.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘Va bene. Normale va bene. Vedi, il copione è in fase di
scrittura e stiamo selezionando gli attori. Il <i>chesting</i> è gratuito e ti invitiamo a farlo,
ma tieni presente a gli attori non avranno controfigure. Si tratta di un corto destinato al mercato
internazionale, e ti chiederemmo quattro pomeriggi di disponibilità per un
compenso di 1200 euro. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Sono ormai sospettosa, quando provo a scucire delle
informazioni più dettagliate<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘Scusa, mi ripeti come si chiama l’agenzia? Avete un sito
dove posso vedere altri vostri lavori?’<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
e ottengo una risposta vaga come il resto della conversazione<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
‘In realtà siamo freelance, e quando giriamo affittiamo
uno studio. Allora, ti interessa?’<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Ho detto di no. Un sintetico ‘No grazie, non sono lo
persona che cercate’. Ho detto no a un cortometraggio senza copione, incentrato
su un amore licenzioso interpretato da gente senza formazione né esperienza di
attore e destinato a un non meglio identificato mercato internazionale. Ho
detto no a una persona che non mi ha dato né il suo nome né i contatti dell’azienda
per cui chiamava. Un'agenzia senza sito internet né ufficio. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Ho detto no a dei soldi apparentemente facili, per non finire nei
risultati di Google alla voce ‘video professoressa seduce studente’. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
E in fondo un po' mi scocciava: sono troppo giovane per risultare credibile come docente universitaria.</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-45237497424042897502013-07-14T14:36:00.000-07:002013-07-14T14:36:23.055-07:00L’apprendista<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRMIFEKercW1OpFv1NiFDTuJlJSVCW7xX84i7mwb-o4DOfDkJo1zxuBu8uKf2dDrSio-jZqD6-q0__szRAY56TNnYN7_MUEMm9qW73iiNfoAa2QZQjeOftP8WScQ2fcfAHVhWQ3JK4_HU/s1600/DSC_0437.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="162" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRMIFEKercW1OpFv1NiFDTuJlJSVCW7xX84i7mwb-o4DOfDkJo1zxuBu8uKf2dDrSio-jZqD6-q0__szRAY56TNnYN7_MUEMm9qW73iiNfoAa2QZQjeOftP8WScQ2fcfAHVhWQ3JK4_HU/s400/DSC_0437.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Un casting. Per un programma televisivo. Io. A un
casting.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Mi sono preparata: ho riletto le risposte che ho dato al
momento della candidatura, ho ripassato le sfide dell’edizione passata e scelto
con cura cosa mettermi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Vestiti come a un colloquio di lavoro” mi avevano detto
al telefono, e sono abbastanza contenta del risultato: pantagonna color
melanzana al ginocchio, camicetta nera vivacizzata da una collana etnica,
mascara. L’unico dubbio è sulle scarpe:
non saranno troppo aperti questi sandali? Troppo colorati? Troppo casual? Il
piede nudo è sdoganato in ufficio? <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Certo che qui nella sala d’attesa sono pochi gli outfit
che invidio: il mio fashion radar intercetta gonne troppo corte, tacchi troppo
alti, pantaloni troppo stretti, unghie troppo decorate. E abiti da cocktail
color cipria abbinati a sandali con i lustrini, come a un matrimonio. Borse e
cinture in ecopelle che non assomiglia lontanamente alla pelle. Non ci siamo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Per gli uomini è più difficile sbagliare, ma tra occhiali
a mascherina usati come cerchietto, orologi mastodontici e mocassini senza
calze sembra di stare a Porto Cervo a guardare sugli yacht dei vip. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
L’unica vestita meglio di me, almeno in questa stanza che
fa da anticamera al colloquio, è la ragazza che mi si siede di fianco. E lei
sulle scarpe ha vinto: un paio di sandali di rafia coloratissimi, a righe, con
un tacco alto ma non aggressivo. Trucco e parrucco impeccabili, indossa un completo
pantalone color caramello, che ricorda la divisa delle donne manager degli anni
ottanta, ma senza il testosterone delle spalline imbottite e alleggerito dal taglio
del pantalone al ginocchio.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Quando la vedo controllare l’orologio e sbuffare
vistosamente, cerco di intavolare una conversazione: <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Che numero sei?”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Prima mi mostra l’adesivo e poi mi fa “3480”. Così mi
dice, il numero e basta. Ma io non demordo:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Ah. Io sono il 3498. Ma stanno andando in ordine,
secondo te?”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Non lo so”.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
È scocciata, e non fa nulla per nasconderlo. Ma io faccio
un ultimo tentativo: <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Lo sapevo che avrei passato l’intera giornata chiusa in
albergo, ma dopo quattro ore non mi passa più. E poi se ci pensi siamo anche
sfortunati perché noi siamo stanchi, ma loro lo sono ancora di più, dopo sei
giorni di selezioni, e ci liquideranno in cinque minuti. Tanto li hanno già
scelti, i candidati…”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“E vabbè” mi fa lei. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
A chiacchierata abortita, faccio un salto in corridoio a
contare quante persone ho davanti. Rientro in sala d’attesa che ne so quanto
prima. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Torno a sedermi e sfodero il Kindle: non riesco a leggere,
ma mi fa comodo avere una copertura mentre ascolto i discorsi che mi nascono
intorno. Il bello del libro in formato
digitale è che non devi nemmeno far finta di voltare pagina di tanto in tanto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Gli altri chiacchierano: a gruppi di tre o quattro, si
raccontano cosa fanno; una di quelle vestite solo di un paio di occhiali da
secchiona dice di essere una consulente di immagine (ci si paga davvero
l’affitto?) mentre il ragazzo seduto dietro di lei la introduce
nell'affascinante mondo della manutenzione dei prodotti Apple, che lui per
primo ha esportato nella ridente Basilicata. E quando, inscenando un preventivo
per l’ iPad vestito di una cover matelassé fake Chanel che stringe al petto, le chiede quanto ha di
memoria, lei lo guarda come se le avesse chiesto di risolvere un integrale. Senza
calcolatrice. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Nessuno mi chiede cosa faccio io, e va meglio così dato
che sto ancora elaborando una risposta convincente. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Nonostante il clima di cameratismo, percepisco una
tensione che viene contenuta a fatica nei troppi “in bocca al lupo!”
pronunciati. Qui c’è gente che deve prendere un treno o un aereo per tornare a
casa, che ha chiesto un giorno di permesso al lavoro, che ha fatto l’intera
trafila l’anno scorso. E in fondo, se sono cinque ore che non abbandono
la mia postazione, è perché un po’ ci credo anch'io. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Ho appena addentato una pesca quando un assistente dagli
occhi verdi si affaccia sulla soglia e pronuncia il mio nome. Gli stringo la
mano e seguo la sua testa riccioluta verso una stanza più piccola dove io vengo
parcheggiata su una seggiola alla deriva sulla moquette e lui si va a sedere
vicino all'autore, che è impegnato a far scorrere il mio CV. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Passano svariati secondi, che bastano a svuotarmi la
testa e seccarmi la bocca. È come essere di nuovo come all'esame di maturità. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Del questionario compilato stamattina ricordo solo una
domanda: “Con chi vivi?”, e la mia risposta: </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Con due politici, uno del PD e
uno del PDL, un’insegnante che fa la vita da matricola da dieci anni, un
canadese gay ossessionato da moda e cibo made in Italy. Ah, e un coniglio”. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
L’autore ha una t-shirt bianca con le maniche arrotolate
a svelare braccia ricoperte di tatuaggi old school: riconosco un grammofono, un
razzo spaziale, un veliero, una rondine. Anche il taglio di capelli e la
montatura degli occhiali non sfuggono al travestimento da teddy boy. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Come si chiama il coniglio?”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<i>Questa la so!<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Rita”.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Sei carnivora?” <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<i>Non è che se mi
piacciono i fiori devo per forza fare la fiorista…<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Sono onnivora, o meglio mi piace mangiare di tutto. Non
sono vegetariana insomma, ma Rita si può considerare al sicuro”.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Bene, questo era solo il riscaldamento: il suo compito è mettermi
in difficoltà, e ci riesce con la domanda successiva:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Mi spieghi una cosa? Una come te che vuole lavorare in
tv, perché partecipa alle selezioni di The Apprentice?”<i> <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<i>Ma questi hanno
letto davvero la mia application?</i><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Il messaggio che vuole passare, nonostante la sintassi
tutta sbagliata, è il seguente: <i><o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Perché la probabilità di partecipare al programma è
bassa quanto quella di collaborarci”.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Ma se hai fatto tutte queste belle esperienze in TV,
come dici, perché non ci sei rimasta?”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Perché a 30 anni non posso più permettermi di fare la
stagista, o la segretaria a 1000 euro al mese”.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Hai ragione” <i>lo so</i>.
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“…Ma questo non è un colloquio per lavorare nella nostra
casa di produzione” s<i>o anche questo.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
L’autore si appoggia allo schienale, toglie gli occhiali,
li ripone con cura nella custodia, e avvicina il mio CV al viso, nascondendosi al
mio sguardo. Sono un fascio di nervi calamitato alla seduta, le caviglie
a stringere le gambe della sedia e le mani sotto le cosce. Il mio linguaggio
del corpo urla disagio. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<i>Pregi e difetti,
pregi e difetti, dai che me la sono preparata!<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Quale pensi che sia il tuo punto di forza?”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Punto sull'empatia. Ma non appena la nomino vengo
zittita. “Sono empatica, mi adatto facilmente, lavoro bene in squadra… Vedi, Claudia,
queste cose me le hanno dette le 3497 persone che ti hanno preceduta. Io voglio
sapere cos'è che hai solo te. ”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Una discreta faccia di culo e tanta voglia di farcela”.
Ma questa la penso soltanto mentre mi sento rispondere “Buon gusto”, forse
memore di alcune mise intercettate in corridoio. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Ho buon gusto e conosco il
valore dei soldi”. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Una risposta che non lo impressiona.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Si passa ai social media. E cado in una trappola ben
collaudata.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Sei su Twitter?”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Sì, ma non ci scrivo.”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Occhiata inquisitiva. Mi giustifico:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Perché per parlare di me uso facebook, mentre su Twitter
vorrei ritagliarmi un topic, un campo d’azione. Il problema è che non sono
un’esperta in nessuna area.”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“E Briatore lo segui?<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Sì” <i>In realtà no. Mai
letto un tweet di Briatore in vita mia. Perché un grande imprenditore, non è
anche un grande comunicatore a prescindere.</i><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Capisco. Grazie
Claudia, ti faremo sapere”.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Il tutto è durato meno di cinque minuti e quando mi
chiudo la porta alle spalle la trovo, la frase ad effetto: <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
“Non c’è nulla che io possa dire o fare che riesca a
farvi cambiare l’idea che vi siete fatti di me quando mi avete vista entrare.
Se su 4000 persone dovete sceglierne 16, lo capite se qualcuno funziona o no. Lo
sentite nella pancia. Se vi ho incuriosito, mi verrete a cercare”. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Bella frase. Peccato che non si sia presentata in tempo
per essere pronunciata. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Poi apro Twitter e leggo gli ultimi post di Briatore: parlano
del GP di Formula Uno con la stessa imparzialità di un romanista in curva durante
il derby. Vi scovo pure degli abomini grammaticali sia in italiano che in
inglese, incompatibili con la mia sovietica ortografia. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
E in cuor mio lo mando
un po’ a cagare.</div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-21756788095413177212013-06-03T04:20:00.002-07:002013-06-03T04:20:53.575-07:00Sguinzagliata<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivI3atNohO5MVuTPPgrGqPi7Nf_FqkfuY43SlmVGYN-VhmnJJKdfp1-heB71TLeBfkKCXy9_EwO8SAxz3MrHUh4-QPrsiUBk10tutfcP8S3cW7koOjbm2sW96_8Z0s3EEmtuaEw5yRqGM/s1600/IMG_2939.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivI3atNohO5MVuTPPgrGqPi7Nf_FqkfuY43SlmVGYN-VhmnJJKdfp1-heB71TLeBfkKCXy9_EwO8SAxz3MrHUh4-QPrsiUBk10tutfcP8S3cW7koOjbm2sW96_8Z0s3EEmtuaEw5yRqGM/s400/IMG_2939.JPG" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Rieccomi!</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
mi spiace non averti dato
grossa soddisfazione l’altra sera quando ci siamo incrociati su Skype, ma devi
capirmi: questa è la mia ultima settimana di lezione e sto dando fondo alle
ultime energie rimaste.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Ho come l’impressione che a
tutti sia concessa una quota stabilita di parole da utilizzare nell'arco della
giornata, e che io esaurisca sempre le mie a metà pomeriggio. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Un po’ è colpa del mio lavoro:
mentre volteggio con disinvoltura davanti alla lavagna brandendo un pennarello manco
fosse una bacchetta magica e declamando l’intera tabella dei verbi irregolari
che risuonano come formule oscure alle orecchie dei miei studenti, sono
costretta a parlare. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Non è semplice mania di
protagonismo: più bravo sei come insegnante, meno parole utilizzi e soprattutto
deleghi direttamente il piacere della scoperta di una nuova lingua a chi la
vuole imparare. Ma io non sono ancora una brava insegnante.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Sono un’insegnante brava,
però: sarà merito dell’impegno che ho messo in circolo, se quello che era
iniziato come un esperimento per pagare l’affitto si sta trasformando in un
lavoro, o meglio in una professione. Perché a me, in fondo, mentre uso il
pennarello come la bacchetta di un direttore d’orchestra per far ripetere alla
classe come un mantra le parole dalla pronuncia più ostica, le giornate passano
rapide e spesso liete. E forse, proprio per sovrastare la mia mania di
protagonismo, i miei studenti dicono la loro, e lo fanno quasi sempre in
inglese.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Ieri sera, nella migliore
tradizione da scuole dell’obbligo, sono uscita a cena con una delle mie classi
per festeggiare la fine del corso. Dopo aver deciso di comune accordo di usare
la nostra lingua madre una volta varcata la soglia del ristorante, abbiamo passato
la serata a passarci vassoi, riempirci bicchieri e raccontarci avventure di
viaggio. Si è instaurata da subito una familiarità che non ti aspetti in un
gruppo di persone che fino a poche settimane prima ignoravano l’esistenza degli
altri: una coppia, due mamme, una nonna, il laureando e il pensionato: una
tavolata di individui dalle età e storie più diverse, accomunati dalla
curiosità verso l’altro. Un club di cui potrei essere la presidente: da quando
sono a Roma, città che mi ha visto approdare in solitaria, mi capita sempre più
spesso di trovarmi in compagnia di persone che non mi conoscono e di sentire
che non potrei essere in nessun altro posto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Mi ha fatto ridere il commento
che hai fatto al mio regalo di compleanno, anche se gli autori non hanno apprezzato:
per tua informazione, non dubito della buona fede dei miei amici, ma mi tocca
darti ragione: la bici a Roma può ucciderti più facilmente che nel resto del
mondo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Fra l’altro, rendendomi
antipatica sia ai pedoni che agli automobilisti, mi impegno a usare la bici
come mezzo di locomozione, e a non destinarla esclusivamente per le passeggiate
della domenica. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Nel tentativo di costruirmi
dei percorsi che siano i più brevi e possibilmente sicuri, salgo e scendo dai
marciapiedi a piacimento, percorro dei tratti contromano e quando il semaforo è
rosso faccio lo slalom tra le macchine e mi piazzo in pole position. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Quando è venuto e trovarmi Jon,
un paio di settimane fa, ho obbligato anche lui a girare Roma in bici: nel
tratto dei fori imperiali, tra piazza Venezia e il Colosseo, l’ho tenuto d’occhio
perché perso nella contemplazione ha rischiato di investire un paio di turisti.
Quando mostro i tesori di questa città mi inorgoglisco come se avessi qualche
merito. E li mostro con lo stesso entusiasmo di quando avevo insegnato a Gilda
a portarmi il suo guinzaglio prima di fare una passeggiata, e dovevano saperlo
tutti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Devi venire a trovarmi: sul
piano artistico e architettonico sono una pessima guida – catalogo gli edifici
in tre periodi storici: romano, rinascimentale e fascista -, ma ho già una nutrita lista di posti in cui
si mangia benissimo. E soprattutto, a differenza di qualsiasi guida turistica, il
mio itinerario si basa esclusivamente sulla voglia del momento. Con Jon abbiamo
battezzato questo approccio il <i>totally
random tour</i>, il cui momento clou è il <i>tourist
spotting.</i><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Mentre consumavamo la granita
al caffè più buona della capitale osservando attentamente il campionario di
umanità riunito davanti al Pantheon in un assolato sabato pomeriggio abbiamo
trovato il nostro turista preferito: un russo superaccessoriato a bordo di un Segway
che scattava fotografie con l’iPad. Trovava particolarmente pittoresco un gladiatore
che si è lasciato ritrarre in numerose pose, e si è quasi spaventato quando questo si è messo a
rincorrerlo sfoderando una massiccia spada di legno perché non aveva versato
l’obolo.</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Oggi non devo lavorare: è una
libertà talmente sguinzagliata che passerò il resto della giornata a pensare alle
mille cose meravigliose che potrei fare e quando finalmente mi trascinerò fuori
di casa sarà ormai troppo tardi per farne almeno la metà. Ma questa è Roma: un
buco nero che assorbe i sogni, i progetti e le paure con una forza impossibile
da contrastare. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
E se verrai a trovarmi te ne accorgerai anche tu.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Ti abbraccio</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-70523404360998530692013-03-06T08:37:00.000-08:002013-03-07T03:34:51.613-08:00My favourite addiction<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRaiyeWatJE-zwcQAd8mws9E1OpoFZ6SmNeQMiLRdNYfVKr_6SJr5d4t0-hr3lwludpnbQq4ifKPLIDV0FMA3QOXhwGKYZNZBMua3c4RXKSfRXrB-WBU6aJQnbI7_4VSA55XJzicLNy6E/s1600/giostra.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="181" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRaiyeWatJE-zwcQAd8mws9E1OpoFZ6SmNeQMiLRdNYfVKr_6SJr5d4t0-hr3lwludpnbQq4ifKPLIDV0FMA3QOXhwGKYZNZBMua3c4RXKSfRXrB-WBU6aJQnbI7_4VSA55XJzicLNy6E/s400/giostra.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Gilda si rotola nella neve, con l’entusiasmo contagioso
del cucciolo alla prese con le prime volte, e io mi ritrovo a correre fra i
filari per farmi inseguire. È un cane tutto orecchie, e sembra che sorrida
sempre. Le sono grata per avermi fatto uscire di casa, nonostante il gelo. E
non mi va di rientrare subito… finché questo pallido sole regge, mi godo la mia
campagna monocromatica. Questa scenografia è così bella che si merita una
colonna sonora: accendo l’iPod e seleziono i Black Keys; c’è una canzone del
loro ultimo album che mi piacerebbe aver scritto, e che ho eletto a mantra. Quando
arriva il ritornello, <i>“She’s the worst thing, I’ve been addicted
to”, </i>lo canto di gusto<i>… </i>Se non mi
fossi liberata della mia peggiore dipendenza, probabilmente in questo momento
gli starei scrivendo per raccontargli di Gilda, della neve e della mia campagna. E invece tengo tutto per me.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: left;">
Mi chiamo Claudia, ho 30 anni
e sono una codipendente emotiva. Non si dice mai ex codipendente, così come non
si dice ex alcolista, perché con l’intossicazione non si sa mai. Ma sono sobria
da 18 mesi e le fasi della dipendenza le ho vissute tutte:<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Symbol; mso-bidi-font-family: Symbol; mso-fareast-font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt;">
</span></span><!--[endif]-->La scoperta<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Sull’interregionale che ci sta portando a Venezia, si
viaggia con i finestrini abbassati: l’aria condizionata è fuori uso, le tende
frustano l’aria e il frastuono dei binari riempie il vagone. Siamo seduti uno
di fronte all’altra, con un libro aperto sulle ginocchia. Mancano pochi giorni
agli esami del master, e Francesca ci ha invitati a casa sua per il fine
settimana; ci siamo pure ripromessi di ritagliarci un paio d’ore per un ripasso
generale… Sappiamo che non succederà, ma almeno abbiamo la coscienza a posto.
Il mio sedile è immerso nel feroce sole di luglio, e quando mi infilo gli
occhiali da sole lui mi fa: <i>“Sai che così
assomigli un po’ a Uma Thurman?”; </i>lo urla in effetti, per abbattere il muro
di suono che ci separa e in tutta risposta mi trovo gli occhi di tre
sconosciuti addosso, a valutare l’effettiva somiglianza. La battuta che mi
spetta: “ma che cazzo dici?” non si presenta in tempo e viene rimpiazzata da un
trasognato “davvero?”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Quella stessa sera, Venezia è il nostro parco giochi: dopo
che l’ultimo turista è salito sul vaporetto che lo riconsegnerà a Mestre e ai
suoi alberghi, lasciamo l’appartamento di Francesca e scriviamo una traiettoria
tra campi e calli che finiscono in un canale, raccogliendo facce nuove lungo la
via. Consumiamo spritz sovradimensionati cercando di asciugarli con pizze
mangiate direttamente dal cartone, seduti sui gradini di qualche chiesa, e
ripetiamo la sequenza fino a perdere il conto e il controllo. Del resto ricordo
poco, ma mi sembra di aver portato qualcuno in spalla, di aver rimpianto di non
essere maschio per non poter pisciare dal ponte di Rialto e di essere finita
schiena a terra in piazza san Marco dopo aver azzardato qualche mossa di
capoeira. Ricordo anche che durante la notte ho aperto gli occhi e lui era
disteso di fianco a me, e respirava leggero, il viso consegnato all’abbandono,
arreso al sonno senza incubi delle persone che non hanno niente da
rimproverarsi. E ho espresso il desiderio di svegliarmi altre volte al suo
fianco. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Symbol; mso-bidi-font-family: Symbol; mso-fareast-font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt;">
</span></span><!--[endif]-->L’assuefazione<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Quando l’ho baciato la prima volta, l’unica luce era
quella della luna. Avevamo i piedi a mollo in una piscinetta gonfiabile, nel
giardino della casa in cui sono cresciuta. La piscina era stata un’idea mia:
l’avevo installata per giustificare il tema della festa, un pool party che
faceva il verso a Hollywood, e per obbligare i miei amici a indossare il pareo
e a liberalizzare i gavettoni. Un anno più tardi ci baciavamo in piedi nella
vasca del mio appartamento, rigorosamente con i piedi in acqua. Avevamo dei
rituali, e momenti che erano solo nostri: il mercoledì mattina raggiungevamo
Milano da due città diverse, e mentre il treno rallentava per entrare in
stazione centrale, ascoltavo la nostra canzone, sapendo che lui stava facendo
lo stesso. Minuti più tardi, facevamo colazione insieme sotto alla radio con
cui collaborava. Ci tendevamo imboscate e visite a sorpresa, ci lasciavamo
biglietti nascosti nelle tasche. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
E siamo stati felici, e tanto, sostenuti da quella
spensieratezza che ti fa credere che tutto sia possibile. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
La nostra prima estate insieme, lui aveva insistito per
raggiungermi in Sardegna, dove facevo la stagione come cameriera: io dovevo
essere riconsegnata ogni sera alle 7; lui ogni mattina passava a prendermi in
motorino e insieme facevamo fuga, come due liceali che scappano dalla versione di latino. In
quelle due settimane senza sonno, ci siamo baciati su ogni spiaggia della
Gallura.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Symbol; mso-bidi-font-family: Symbol; mso-fareast-font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt;">
</span></span><!--[endif]-->La dipendenza<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Avevo bisogno di quelle massicce scariche di endorfine
generate dal nostro stare insieme. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Pensando alle circostanze in cui ci eravamo trovati, mi
ero convinta che lui fosse l’unico possibile per me, l’unica persona che
calcasse il mio universo spazio-temporale, la cui imperfezione si incastrasse
perfettamente con la mia imperfezione.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ma stare insieme era una scommessa, da quando aveva
trovato lavoro a Francoforte e ci eravamo rassegnati alla recitare la parte dei
pendolari dell’amore.<span style="background: yellow; mso-highlight: yellow;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Symbol; mso-bidi-font-family: Symbol; mso-fareast-font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt;">
</span></span><!--[endif]-->La crisi da astinenza<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: left;">
<i>“Sono stufo di stare qui”,</i> aveva annunciato una sera, rientrando
dall’ufficio. Un mese più tardi stringeva fra le mani un biglietto per il giro
del mondo in otto tappe e sette mesi. E io mi ero affrettata a regalargli uno
zaino, con sommo orrore di mia sorella. Ero la sua più grande fan: capivo le
sue ragioni, ma non le sposavo quando diceva <i>“voglio fare questa esperienza da solo, voglio mettermi alla prova”</i>.
<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: left;">
E così, tralasciando una breve
convivenza, da pendolare dell’amore mi sono ritrovata a farne da cronista: narravo
le sue gesta a persone che in quei racconti cercavano il mio personaggio. Per
accontentarle, ho comprato un biglietto e l’ho raggiunto in Indonesia. Una
sorpresa che aveva il sapore di un’invasione.<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: left;">
Era solo il nuovo capitolo di
una storia in cui l’ho seguito ovunque, a volte l’ho inseguito e il resto del
tempo l’ho aspettato. <o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Symbol; mso-bidi-font-family: Symbol; mso-fareast-font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt;">
</span></span><!--[endif]-->Il collasso<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Chiara è bellissima nell’abito bianco, e Olly inaspettatamente
spigliato in giacca e cravatta, anche se non ne ha voluto sapere di tagliarsi i
capelli. La chiesetta di campagna è stipata di amici, arrivati in gran numero
da Francoforte, dove gli sposi si sono conosciuti. È tutto semplice e autentico,
fin nel dettaglio. Se mai io… Se mai noi… Noi… Non ci vediamo da un mese e
quando arrivo, a cerimonia iniziata, lui è sull’altare, concentrato sulla
chitarra. Cerco il suo sguardo durante lo scambio degli anelli: vorrei dargli
un’altra occasione per prendermi in giro perché anche stavolta mi sono
commossa, ma lui è nascosto dietro ad un leggio. Lo sa, che mi costa rinunciare
a tutto questo, e che questo è solo l’ennesimo compromesso che ho accettato,
pur di stare con lui.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
La mattina seguente, quando lascio il suo letto, mi
prende per un braccio:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<i>“Te ne vai di già?”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<i>“Te l’ho detto, domani vado in Liguria con la Lu e gli
altri. Tu che fai? Ci raggiungi là?”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<i>“Non so…”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<i>“Dai, siamo ospiti, è per fare una settimana di mare…”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<i>“mmm… Ci penso e ti faccio sapere…”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<i>“Certo”</i> dico, anche se di una cosa sola sono certa: che
non mi sveglierò mai più al suo fianco.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Symbol; mso-bidi-font-family: Symbol; mso-fareast-font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt;">
</span></span><!--[endif]-->Il distacco<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: left;">
Non posso piangere davanti
agli amici che mi hanno conosciuta come la sua ragazza, ma ho davvero bisogno
d’aiuto. Non mangio più e non dormo più, non mi riconosco più. La dottoressa che
mi visita mi lascia sfogare, mi somministra un abbraccio e mi mette alla porta
in pochi minuti: d’amore non si muore, pare, e l’unica cura efficace è il
tempo. <o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: left;">
Quando ricevo il suo messaggio,
sono seduta in riva al Meno, in compagnia del libro di tedesco e di una birra:
sono settimane che non ci sentiamo, e adesso vuole farsi 700 chilometri per
venire a parlarmi. La sola idea mi manda nel panico. Lascio passare 24 ore e
gli rispondo: <i>“se vuoi solo parlarmi,
possiamo sentirci per telefono”</i>. <i>“Perfetto!
Puoi metterti su Skype stasera?”</i> mi scrive mezzo minuto dopo.<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: left;">
Questa puntata della mia vita
è sceneggiata malissimo e girata in economia. Mancano i colpi di scena e non
c’è nemmeno il lieto fine. Mi molla con una videochiamata e la spiegazione
della sua scomparsa è noiosa come il verbale dell’assemblea di condominio<i>. “Non potevo restare con te sapendo che non
ti amavo più”</i>, mi dice, e io non verso nemmeno una lacrima. <o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Symbol; mso-bidi-font-family: Symbol; mso-fareast-font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt;">
</span></span><!--[endif]-->La sobrietà<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Dopo mesi di sporadici contatti ci rivediamo, quasi per
caso. Quando mi abbraccia, indugia un po’ troppo prima di lasciarmi andare
mentre io resto in ascolto: niente sangue alle guance, niente battito
accelerato, niente farfalle nello stomaco. Sono solo un involucro. Cerco in lui
qualche indizio della sua vita senza di me, e mi stupisco di come non sia
cambiato nulla. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Passeggiamo nella nostra Milano, le mani nelle tasche, lo
sguardo sulle scarpe. <i>Proprio come era
successo all’inizio. </i>Ma questo tipo di imbarazzo ha un sapore diverso.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: left;">
Ci intratteniamo in una civile
conversazione, raccontando dell’<i>io</i>,
chiedendo del <i>tu</i> e evitando accuratamente
di fare riferimento a <i>noi</i>. <i>Proprio come era successo all’inizio</i>.
Solo che all’inizio, qui a parco Sempione cercavo gli scoiattoli che si
inseguivano sui rami mentre oggi scopro dei ratti ben pasciuti che si infilano
sotto a un cespuglio.<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: left;">
Mi chiamo Claudia, ho 30 anni,
e sono stata una codipendente emotiva. Adesso non lo sono più, non con lui
almeno. Non riesco però a stare lontana da libri e film che parlano d’amore, e
mi illudo di farne un uso terapeutico. Per precauzione, tenetemi lontana dai
Baci Perugina.<o:p></o:p></div>
</div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-37398461095865769662013-02-20T09:11:00.000-08:002013-02-20T09:11:27.329-08:00Commercialista superstar<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiYRjnILZUdYSeRZJArjG9mRNFEUJDdcSznTCMG_5icRvlNJHC9LGwHf81wRypjyWuRIbs-qIxwvAx3DJqGjYNsvZG7Kv_ZUmUE4o_ygo5PxPpYK-bJ-Df60L1vTGWPm9uAUMKJ1ou5ux4/s1600/albero.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiYRjnILZUdYSeRZJArjG9mRNFEUJDdcSznTCMG_5icRvlNJHC9LGwHf81wRypjyWuRIbs-qIxwvAx3DJqGjYNsvZG7Kv_ZUmUE4o_ygo5PxPpYK-bJ-Df60L1vTGWPm9uAUMKJ1ou5ux4/s320/albero.jpg" width="318" /></a></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Gli occhiali da sole che indossa sono discutibili: a
mascherina, con dei dettagli dorati, più adatti a un parrucchiere che a un
commercialista. Ma la cosa che mi infastidisce è che non se li tolga nemmeno
qui, sotto i neon di questo ufficio senza finestre dove ci stiamo perdendo l’estate
lunghissima in onda sopra le nostre teste.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Il resto dell’abito fa il monaco: cartella di pelle appesantita
da documenti, camicia cifrata e corredata da gemelli dorati, abito grigio
chiaro e cravatta salmone, scarpe di buona fattura.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Anche il fisico è quello dell’animale da scrivania: una
silhouette pingue e leggermente ricurva. La carnagione è rosea, grazie al sole
e al cibo della Campania, e le guance rasate in modo impeccabile dispensano
note speziate di pregiato dopobarba.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Eccolo, il dottor Cantisani da Santa Maria Capua Vetere, commercialista
superstar e idolo di Franca, la collega con cui divido questo ufficio che mi
sta ogni giorno più stretto. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
È lui che si occupa del personale; purtroppo è talmente
disinteressato alle persone da privarmi del saluto quando si installa nel
nostro ufficio. Temendo che non si sia accorto che al posto di Patrizia ora ci
sono io, Franca mi presenta: solo allora il Dottore, sollevando
impercettibilmente gli angoli della bocca, mi dedica uno sguardo eloquente: “ho
capito chi sei, ma il contratto non ce l’ho”. Il contratto che, insieme alla
sua venuta, aspetto da tre settimane.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Attirati dalla scia di dopobarba, gli altri collaboratori
dello studio sfilano in processione al cospetto del Dottore, fogli alla mano,
chiedendo le risposte che non hanno ottenuto il mese precedente. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
C’è la
segretaria che porta il caffè e mostra la pensione minima della madre, c’è il
fonico con il figlio malato che chiede che fine hanno fatto i contributi,
quello che ha maturato straordinari per due anni e non li ha mai riscossi, il
segretario di edizione con le ricevute per il rimborso della trasferta.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Il Dottore riceve i questuanti senza mai alzarsi dalla
sedia, con la mani incrociate sul ventre, dispensa battute in latino e in
napoletano insieme ad aneddoti attribuiti alla nonna, donna semplice ma di straordinaria
saggezza. E non da’ una singola risposta, lamentando la mancanza di tempo per
approfondire la questione. il mese prossimo, assistendo allo stesso teatrino, sarò
assalita da un déjà vu. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Quando vengono finalmente lasciati soli, il Dottore chiede
ad un’adorante Franca di fargli il resoconto fiscale, di stampargli un
itinerario e di prendergli appuntamento con la direttrice; poi le detta un paio
di mail insegandole la punteggiatura, le fa comporre il numero del suo studio
per umiliare un’ impiegata in viva voce e si fa portare un altro caffè, per il
gusto di vantarsi che dalle sue parti lo fanno più buono.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Solo quando arriva la tazzina scioglie le dita dall'abbraccio in cui riposavano, incrociate sopra l'ombelico. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Nel frattempo si sono fatte le cinque e il Dottore comincia
a raccogliere le sue carte e infilarle nella cartella. Lancio una richiesta d’aiuto
nello sguardo che viene intercettato da Franca: tanto vale provarci, mi
sembrano rispondere i suoi occhi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
“Dottore, poi ci sarebbe il contratto di Claudia da
discutere…” <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
“Ma Franchina… non vedi come sono stanco?” <o:p></o:p></div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-57252146643977214652013-02-01T04:30:00.000-08:002013-02-02T14:45:34.339-08:00Shar Pei<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdth7dnFWNeRtF9qFy_3id20k_24dV_XNhLkSbXPiR-AH9E7rphbU6XHkJHbqoojdveULTWjYYVxj1JtdPQ8DYdKvoS6azoWszxxMxAKpHPqDeV_-0vhTYubTDIc-_XAyWciUVzdl1veQ/s1600/specchio.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="267" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdth7dnFWNeRtF9qFy_3id20k_24dV_XNhLkSbXPiR-AH9E7rphbU6XHkJHbqoojdveULTWjYYVxj1JtdPQ8DYdKvoS6azoWszxxMxAKpHPqDeV_-0vhTYubTDIc-_XAyWciUVzdl1veQ/s400/specchio.jpg" width="400" /></a></div>
In camerino, cerco di allacciare un paio di pantaloni
troppo stretti e per sgombrare il campo d’azione pinzo la maglia tra collo e
mento. Quando riesco a chiudere anche l’ultimo bottone, sollevo gli occhi senza
mollare la presa e lo noto subito, quel girocollo di pelle superflua. Pappagorgia: suona male e si mostra peggio, in tutta la
sua assenza di grazia.<br />
<div class="MsoNoSpacing">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ho il doppio mento perché paradossalmente sono quasi sprovvista di un mento atto a
sostenere quei tessuti che a vent'anni sfidano le leggi della gravità e passati
i trenta si arrendono ad esse. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Lascio perdere i pantaloni, e approfitto dello specchio
per valutare la gravità della situazione: raddrizzo le spalle, e prendendomi il
collo fra le mani tiro la pelle indietro, cercando di stirare la piega. Appena
tolgo le mani però, ecco che ritorna, ben definita. Sembro uno Shar Pei.
Diventerò uno Shar Pei: questa è solo la prima di una ragnatela di pieghe che
si sovrapporrà col passare degli anni al mio contorno. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Al doppio mento non ci sono soluzioni: posso provare a
camminare a testa alta, o a indossare sempre la sciarpa, ma devo
rassegnarmi a conviverci.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
E pensare che fino al 2007 pensavo di avercelo, un mento…
poi un pomeriggio di agosto, mentre ci perdevamo l’uno negli occhi dell’altro
ignorando la spiaggia della Sardegna che faceva da contorno, I. mi fa: “certo
che a te il mento non te l’hanno proprio dato, eh?” e io gli ho sorriso, perché
mi sembrava un’osservazione arguta, ma da quel giorno non ho smesso di cercare
il mio mento in ogni superficie riflettente.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Nemmeno in questo camerino, anche se i commenti di I. non
li sento da tempo, riesco a vederlo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Cerco di guardarmi di profilo, e vedo mio padre: quello
che ci manca di mento lo recuperiamo di naso; ricordo ancora la sorpresa di
scoprirne la metamorfosi, quando nel passaggio tra le elementari e le medie ha
preso la sua forma definitiva. La gobba sul naso era il mio unico cruccio,
prima della perdita del mento. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ho letto che gli specchi dei camerini sono montati in
modo da toglierti una taglia. Peccato che la luce così abbagliante non faccia
un grosso favore al colorito tendente al verde, gli occhi scavati e i numerosi
brufoli. Trent’anni e ho ancora i brufoli! Ormoni, dice qualcuno, stress,
qualcun altro; adolescenza cristallizzata, è la mia diagnosi. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Non sono mai stata severa con la mia immagine: la
mattina, dopo essermi lavata la faccia mi sorrido, per farmi coraggio; se devo
risollevare l’autostima mi trucco, mentre quando mi assale lo sconforto vado
dal parrucchiere. Possiamo essere più o meno belle in base a quanto la vita ci
sta mettendo alla prova, ma possiamo anche vederci più o meno belle, e per lo
stesso motivo. Non c’è specchio più impietoso del proprio sguardo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Quando ero in Sardegna ero in forma: la pelle abbronzata
e compatta, grazie all'alternanza di pomeriggi al mare e serate a correre fra i
tavoli del ristorante. Le pieghe non avevano ancora fatto la loro comparsa.
Vivevo spensierata anche senza mento. E adesso? Cos'è cambiato? Se mi vedessi
più bella, sarei anche più contenta? Kate Moss si piace davvero?<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Quando bussano alla porta, istintivamente lo sguardo si
sposta sui pantaloni, che restano troppo stretti da giustificarne l’acquisto.
Mi rivesto e prima di lasciare il camerino mi guardo sorridermi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Oggi ho passato fin troppo tempo a guardarmi fuori:
esercizio interessante, ma incompleto: per rispondere a tutti i dubbi che mi
sono scoppiati in testa dovrei trovare uno specchio per guardarmi dentro. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<o:p></o:p></div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-17236744128878768372013-01-15T02:47:00.000-08:002013-01-15T02:47:49.889-08:00Cannoli a casa Canella<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhK4DLASt7kIy8995t8Fve3ZBq8meSD70Q8jWJwmQ1k55TXswi83ezPEZO8LnKMUijTP-KJ_dOINqmhAy7JOshW_oULknZyIjbbj3M19XJQ5L5ASKEmhGHMlaZEzHUeehxGdLIlREIjhsU/s1600/campanello.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="216" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhK4DLASt7kIy8995t8Fve3ZBq8meSD70Q8jWJwmQ1k55TXswi83ezPEZO8LnKMUijTP-KJ_dOINqmhAy7JOshW_oULknZyIjbbj3M19XJQ5L5ASKEmhGHMlaZEzHUeehxGdLIlREIjhsU/s320/campanello.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNoSpacing">
La prima cosa che io noto nella foto è il piatto di
cannoli siciliani che troneggia a centrotavola: sarà che ho una passione
smisurata per il cibo e che fotografo più i piatti che i paesaggi, ma questi
spiccano come cannoli da competizione anche allo sguardo di occhi inesperti.
C’è una manina paffuta che con fare esplorativo si avvicina a uno di quei
mostri di cialda, ricotta e canditi, e quella manina si accompagna a un musetto
furbo, quello di Viola, che con i suoi tre anni e mezzo ha ben chiaro quali
sono le priorità della vita e non dedica la sua attenzione alla lucina
lampeggiante dell’autoscatto bensì approfitta dei dieci secondi di immobilità
dei genitori per sferrare l’attacco indisturbata. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Siamo a casa di Paola e Alessio e ci stiamo concedendo
l’ultimo pranzo della lunga parentesi natalizia, come testimoniano le
decorazioni appese dietro di noi. La tavola coperta dalla benaugurante tovaglia
rossa è già stata sparecchiata, e le tazzine in un angolo aspettano pazienti
che il caffè sul fuoco cominci a gorgogliare. Noi siamo seduti tutti schierati dietro
al tavolo, e guardiamo fissi l’obiettivo. Sono stata io ad insistere per avere
una foto ricordo e ad attirarmi le lamentele di quelli che non avevano nessuna
intenzione di alzarsi, spostare sedie e rientrare nell’inquadratura. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Io sono quella con gli occhi chiusi, l’ultima a destra.
Chiudo sempre gli occhi in contemporanea con l’obiettivo e compenso sorridendo troppo, di quel sorriso innaturale
che mi fa allungare il collo come uno struzzo. Per una volta però ho almeno i
capelli a posto. Vicino a me c’è Petra, che sembra sempre un’adolescente
scappata dalle superiori, con quel viso pulito e lo sguardo timido. Se non la
conosci, non puoi lontanamente immaginare di cosa sia capace quella donna,
cresciuta affrontando imprese quali dieci mesi di volontariato in un
orfanotrofio nella zona più povera dell’India. Al centro della foto ci sono
Sara e Andrea, una coppia armonica come yin e yang: lei dai tratti nobili e dai
modi rarefatti di una principessa eritrea, lui un concentrato di spontaneità contenuto
a fatica dall’aspetto scandinavo e l’eleganza preppy delle polo che lo
sollevano dalla settimana in giacca e cravatta. La metà sinistra dell’allegro
quadretto è occupata dai padroni di casa, la mia personale visione dalla sacra
famiglia o, in versione più pop, della famiglia cuore con cui giocavo a
immaginarmi un futuro alle elementari.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Abbiamo tutti un bel colorito, e un’espressione beata. Questa
fotografia è recentissima, ma ogni volta che la rivedrò, emergeranno i dettagli
di quella pigra domenica pomeriggio: le scarpe abbandonate all’ingresso e il
bottone dei pantaloni slacciato, la perfezione dei cannoli riempiti sul
momento, i cartoni della Pimpa alla TV a volume impercettibile che rimbalzano
su un divano vuoto e la luce del tramonto che entra obliqua dalla porta
finestra del terrazzo e si riflette sulle palline dell’albero di Natale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
E c’è un indizio che solo noi presenti possiamo cogliere:
alle nostre spalle, in mezzo ai disegni di Viola attaccati alla porta c’è un
foglietto su cui Paola ha scritto col pennarello verde SCUSATEMI. Era lì ad
accoglierci quando io e Petra abbiamo suonato il campanello, e l’avevo
immediatamente associato all’odore di bruciato che pervadeva il pianerottolo:
“Cos’hai combinato, hai dimenticato la torta in forno?” ho detto a Paola, non
appena ci ha aperto; lei ha negato sorridendo e io non ho indagato oltre,
finché, dopo cinque minuti buoni di convenevoli mi sono accorta della rotondità
che annunciava l’arrivo di un secondo bambino. In effetti qualcosa in forno
c’era… <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Un foglietto appeso alla porta: così Paola ha scelto di giustificare
l’attesa nel comunicarci la dolce attesa. “Le notizie così, non si danno per
telefono!”, ha aggiunto, e non potevo essere più d’accordo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Io, Paola, Petra e Sara ci conosciamo da più di dieci
anni: ci siamo trovate in università e non ci siamo più lasciate. Per un gioco
del destino, per entrambe le coppie della fotografia galeotto è stato il treno
a bordo del quale le loro esperienze da pendolari si sono incrociate. Io e
Petra ci lamentiamo sempre della nostra scarsa fortuna, nonostante anni di
militanza sui mezzi pubblici. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Sara e Andrea ai bambini ancora non ci pensano, anche se
i futuri nonni ormai li hanno chiesti ufficialmente come regalo per il prossimo
Natale. Sara è la nostra donna in carriera: è una miniera di consigli professionali,
ed è lo sguardo lucido che mi manca quando vengo sopraffatta dall’emotività. L’ultima
volta che l’ho messa al corrente delle mie disavventure lavorative ad esempio, sono
stata io a dover frenare la sua indignazione, e non viceversa. Petra invece è
imprevedibile, e coraggiosa: potrebbe decidere di trasferirsi dall’altra parte
del mondo nel giro di una settimana senza fare una piega. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
E quando mi sono imbattuta in questa frase <i>“perché è questo il segreto dei matrimoni
riusciti: non smettere di essere stregati ognuno dall’esotismo dell’altro”, </i>l’esempio di Paola e Alessio ha finalmente trovato una
definizione; Alessio è alto e riflessivo, e ispira protezione, mentre Paola è
eterea come un folletto, corredata di lentiggini e riccioli rossi e saltella sul
mondo avvolta da un’aura di energia positiva a cui è impossibile sottrarsi. Lui
è cresciuto in una Taormina inondata di sole e lei sul tetto di una delle valli
bergamasche, e quello che hanno fatto insieme è un capolavoro di diplomazia:
una bambina che riassume in sé l’edonismo siculo e il pragmatismo lombardo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
E adesso la famiglia si allarga. La nostra famiglia si
allarga. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Quando avevo otto anni, la Barbie reaganiana con i
capelli corti di un marrone inoffensivo e la gonna al ginocchio, Ken con le
bretelle e i mocassini bianchi e i due gemelli cloni dei genitori erano il mio
ideale di famiglia perfetta; con il passare degli anni ho capito che nessuna
famiglia è perfetta, ma che una famiglia della tua misura te la puoi sempre
scegliere. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Io ho scelto le persone con cui prendevo interminabili
caffè invece che andare a lezione, con cui preparavo gli esami promettendo che
avremo seguito di più i corsi, con cui organizzavo serate e vacanze. Ho scelto
loro e la vita che si portano appresso, e loro hanno fatto lo stesso con me.
Senza selezione all’ingresso. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Queste persone mi hanno cresciuta: sono loro gli abbracci
che cerco quando piango per il cuore spezzato, un sogno infranto o un progetto
interrotto sul nascere. Sono loro che abbraccio per congratularmi quando mi
annunciano traguardi o per rassicurarle di fronte alle difficoltà. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
L’epoca dell’università è ormai consegnata all’album dei
ricordi, e le nostre vite hanno preso binari diversi, ma voglio stamparla,
questa foto, e nasconderla in un libro noioso che non presterò… Voglio
prepararmi una sorpresa per quando in un futuro imprecisato, facendo ordine
sugli scaffali quest’immagine mi scivolerà ai piedi, e mi strapperà un sorriso.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-55490922421587260972012-12-29T16:24:00.000-08:002012-12-29T16:24:57.395-08:00Mangia prega ama<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9kySBH-7JGhCjk82F2FV_wiwMKH8N-lzD84Vrex3u0mSRqv_eispviVhqtYHuulVZxLjX9H0K4f6M2n7woDE854GWPOHoOdl_bGH3hOBr8TFSZXFVuRxu2bQ7xLO1oWleZHqbe7Q9IV8/s1600/bali.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9kySBH-7JGhCjk82F2FV_wiwMKH8N-lzD84Vrex3u0mSRqv_eispviVhqtYHuulVZxLjX9H0K4f6M2n7woDE854GWPOHoOdl_bGH3hOBr8TFSZXFVuRxu2bQ7xLO1oWleZHqbe7Q9IV8/s400/bali.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Un taxi poi… e tutto per me. Non lo prendo mai, il taxi,
e non potrò di certo permettermelo spesso nei prossimi due mesi, però questa
volta non c’era alternativa. Ho seguito alla lettera le indicazioni ricevute
via mail: in aeroporto ho tenuto stretto il mio zaino rifiutando aiuto e
risparmiando mancia e mi sono infilata all’ufficio
turistico per farmi indicare un taxi regolare. L’indirizzo dell’ostello l’ho
scribacchiato dietro al biglietto aereo: lo passo al tassista, che annuisce, mi
carica e si fa strada strombazzando nella lunga coda che lascia il parcheggio
per immettersi sulla strada principale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
E che taxi poi… chi se lo immaginava che le gloriose fiat
Uno venissero in pensione in Indonesia? Questa è la stessa macchina con cui ho
imparato a guidare, una vita fa, nei campi vicino a casa: stessi sedili
scomodi, stesso cambio a quattro marce, stessi finestrini che si abbassano con
la manovella. Anche il colore è lo stesso: bianco e basta. Alla mia macchina
però mancava l’autoradio mentre in questa, dal sistema rudimentale di casse
aggiunte al magro impianto di serie, escono le frequenze di una stazione radio
locale: quando le prime note di “like a prayer” si diffondono nell'abitacolo il
tassista, fino a quel momento silenzioso, alza decisamente il volume e la canta
nel suo inglese fantasioso.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Sorrido, e ci scambiamo uno sguardo nello specchietto
retrovisore. Non avremo una lingua comune, ma sappiamo entrambi che i primi
dischi della signora Ciccone sono pietre miliari nella storia della musica pop.
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
La canterei anch’io, se non fossi così agitata… rimetto
in borsa il cellulare che ho cercato invano di rianimare, e abbasso il
finestrino.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Il nostro aereo è atterrato sotto a un acquazzone da manuale e
l’asfalto è ancora bagnato. Non c’è quel caldo soffocante che mi immaginavo… Ma
in fondo cosa potevo immaginarmi? <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
La mia idea di Bali fino all’anno scorso era sintetizzata
dalla minacciosa maschera di legno intagliato che mia zia tiene appesa nel
tinello, ingombrante ricordo di un viaggio di nozze col sapore di un’impresa
coloniale. Poi è arrivato Hollywood, che in modo brutalmente illusorio mi ha
presentato Bali come il posto in cui Julia Roberts, ingrassata a Roma e
dimagrita in India trova infine la pace dei sensi con <span style="background-color: white;">un <span style="background-position: initial initial; background-repeat: initial initial;">Javier Bardem</span> </span>abbronzatissimo
e proprietario di mezza isola. Mangia, prega, ama: è questo il mio programma di
viaggio, anche se la preghiera che tutto vada per il meglio finora ha messo in
ombra il resto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Sono una donna emancipata e non posso permettermi di credere
alle favole, ma sarebbe bello se anche la mia Bali, andando contro all’evidenza,
non assomigliasse alla periferia intasata di traffico di qualsiasi città. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Sono mesi che mi sento chiedere “Allora, come va con I.?”; le relazioni a distanza non sono facili, nemmeno da spiegare, e negli ultimi
tempi gli sguardi condiscendenti dei miei amici mi hanno messo spesso a disagio.
Sono mesi che lui è partito e io l’ho seguito come potevo mentre viaggiava tra
i fusi orari di Sudamerica e Oceania. Da pendolare dell’amore ora ne sono
diventata la cronista: narro le sue gesta evitando di raccontare che ruolo
gioco io in tutto ciò. È per rispondere a quest’unica domanda che senza
aspettare che il mio ragazzo mi invitasse a raggiungerlo ho comprato un
biglietto e dopo 36 ore di viaggio mi ritrovo qui, su questo taxi che comincia
a starmi stretto; l’odore di Arbre Magique
appena scartato mi da’ alla testa: un deodorante all’aroma chimico di cocco in
un paese esotico, ricoperto di palme… Ma perché? <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Abbasso il finestrino: fuori dal taxi scorrono al
rallentatore muretti e recinzioni che faticano a contenere una vegetazione che
scoppia di salute: come cercare lussureggiante sul dizionario illustrato. Sono
piante invadenti, con ampie foglie lucide che arrivano a coprire come a
proteggerle delle piccole costruzioni che punteggiano la strada: sembrano delle
case in miniatura appoggiate sopra una colonna, decorate con drappi gialli e
con vassoi di foglie pieni di fiori. Credo che abbiano qualche significato
religioso perché davanti ad ogni casetta brucia un bastoncino di incenso. Vorrei
chiederlo al tassista, cosa sono questi altari, e vorrei anche chiedergli
quanto ci vorrà ad arrivare a destinazione con questo traffico, ma lui non
parla inglese e io non parlo più, che forse per il finto odore di cocco o per
la paura di non trovare nessuno ad attendermi faccio fatica a respirare.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Con I. ci siamo sentiti una settimana fa, quand’era
ancora in Nuova Zelanda. Sarà stato prematuro, ma gli ho chiesto se aveva
capito cosa voleva fare una volta che il suo giro del mondo l’avesse riportato
al punto di partenza. Lui si è rabbuiato, ed è riuscito solo a dirmi “non puoi chiedermi
di tornare a Francoforte”. Francoforte... una città in cui sono finita per stare con
lui, e che sarei pronta a lasciare dopodomani, per stare con lui. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Sono più di tre
anni che saltiamo da un posto all’altro, da un lavoro all’altro per paura di
mettere radici, e a me comincia a mancare la terra sotto i piedi. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
“Rita’s house?” domanda il tassista indicando un edificio
rosa alla nostra destra. Fuori dal cancello c’è I.: ha una maglietta gialla e
non l’ho mai visto così abbronzato. Non sarà Javier Bardem, ma nemmeno io sono
Julia Roberts... “Stop!” ordino, e quando il taxi si ferma I. mi vede e mi
viene incontro.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Pago e raccolgo lo zaino mentre I. si fa sempre più vicino
alla portiera. Stringo la maniglia e inspiro forte come prima di un tuffo. Andrà.
Tutto. Bene. <o:p></o:p></div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-48369438976772619322012-12-13T03:56:00.000-08:002012-12-13T04:09:43.974-08:00Dottore del buco<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhu7vO1gGCjGjga55ElaRJIpqXKU3VnJMtZSR2mltyYh5dn2ZGjXYwrtxxHFFZVuDKWiEXi-GeagmwU-6lXuLWmg935_dyxG4jukLzeY4rdwGVE2YICyS9b1BvYdg-c28YGYW6zZcap2wI/s1600/mazzo+di+fiori.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhu7vO1gGCjGjga55ElaRJIpqXKU3VnJMtZSR2mltyYh5dn2ZGjXYwrtxxHFFZVuDKWiEXi-GeagmwU-6lXuLWmg935_dyxG4jukLzeY4rdwGVE2YICyS9b1BvYdg-c28YGYW6zZcap2wI/s320/mazzo+di+fiori.jpg" width="216" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Non appena mi richiudo la porta
alle spalle, vengo abbracciata da un enorme mazzo di fiori. Tenendolo stretto,
mi faccio spazio a colpi di naso per riuscire a intravedere chi mi sta aspettando
in cortile dopo essere stato seduto dietro di me in aula magna mentre discutevo
la tesi. Sto spuntando mentalmente la lista delle presenze quando vengo sommersa
da un’ondata di facce amiche e ancora impacciata dal cespuglio multicolore che
stringo tra le braccia, comincio a distribuire baci.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Paola sembra vittima di una paresi
facciale, da quanto sorride; so che i fiori me li ha comprati lei, e so anche
perché: dal basso dei miei biechi calcoli costi-benefici, le avevo confessato
che trovavo stupido pagare così tanto una cosa che sta già morendo. Le avevo
anche confessato che nessuno mi aveva mai regalato fiori, ma che era meglio
così, perché tanto non avrebbe avuto senso pagare così tanto una cosa che sta
già morendo.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
“Ti piacciono?” mi chiede Paola.
“Tantissimo” rispondo io, e come sempre con lei non c’è bisogno di mentire. Questo
mazzo di fiori, giallo di girasoli e rosso di peperoncini, è irriverente, chiassoso,
genuino, e mette di buonumore. Proprio come Paola, con gli indomabili riccioli
rossi le improbabili calze a righe. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Sono venuti tutti per la mia
laurea: i miei compagni di università, anche quelli che saranno al mio posto
nei prossimi giorni, la mia famiglia, gli amici di lunga data e le colleghe del
negozio. Durante le foto di rito, quando
l’intera squadra di calcetto dell’aula studio si cala letteralmente le braghe
davanti all'obiettivo di mia sorella, un usciere ci chiede di contenere
l’entusiasmo, per rispetto a quegli studenti che devono ancora discutere la
tesi. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
La Lu mi gira intorno con la
macchina fotografica, scattando a ripetizione. Le sequestro la macchina, con la
scusa di testimoniare la sua presenza dall'altro lato dell’obiettivo, ma anche con
l’intenzione di cancellare tutte le foto in cui sembro un mostro, e mi ritrovo
così a ripercorrere l’ultima mezz'ora com'è stata fermata per immagini. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Nella prima foto ci sono io di
spalle, a spezzare un semicerchio di cinque professori visibilmente annoiati.
Il tavolo che ci separa è massiccio, di legno scuro, solenne come i pesanti
tendaggi di velluto che incorniciano le finestre, e le lunghe toghe nere che
impacciano i docenti quando si passano la mia tesi. Una fotografia che funzionerebbe
benissimo anche in bianco e nero, nel suo essere fuori dal tempo.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
La seconda foto invece è presa più da vicino: nell'inquadratura rientriamo di profilo solo io e il mio
relatore, che ha assunto lo stessa espressione della gioconda, nonostante si
noti che io sto gesticolando risolutamente a caccia di approvazione. Lui è Antonio
Scurati, docente di sociologia della comunicazione. Mi era bastato vederlo una
volta sedersi <i>sulla</i> cattedra con
nonchalance per sceglierlo come relatore. A tutti noi del terzo anno era noto
come <i>il killer</i>: si era presentato la
prima lezione del semestre vestito completamente di nero, con tanto di
dolcevita e guanti di pelle, e il nomignolo gli era rimasto appiccicato addosso
tutto l’anno. Un uomo alto, con gli occhi di ghiaccio, poco incline al sorriso,
vintage di classe come un cattivo di James Bond.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Nella terza foto è lui a parlare,
rivolgendosi al presidente della commissione, mentre io sfoglio la mia tesi
come se la vedessi per la prima volta. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Avevo scelto di scrivere dei
Radiohead, cercando di fare un parallelo fra i musicisti che avevano
accompagnato le rivolte studentesche del ’68 con le loro canzoni di protesta e
questa band di Oxford che invece raccontava benissimo lo spaesamento che aveva
seguito i tragici fatti dell’undici settembre. La tesi l’avevo intitolata <i>Il rock nella società del rischio</i>, e
sentivo che poteva funzionare. Il Professor Scurati non conosceva i Radiohead,
ma aveva accettato la mia proposta senza riserve. La sfida consisteva semmai
nel presentare il mio punto di vista anche agli altri membri della commissione.
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Nella quarta foto, la mia tesi è
passata fra le mani del presidente della facoltà, il quale mi lancia uno sguardo
da sopra gli occhiali a cui io rispondo mordendomi il labbro: era una domanda
retorica la sua, e la risposta campeggiava sulla prima pagina, scritta di mio
pugno, eppure era bastato quello per farmi andare nel pallone. Sono ancora
frastornata, ma dalla nebbia della frenesia riemergono alcuni dettagli: la
discussione… perché ho fatto un discorso così generale e non mi sono invece
concentrata sull’analisi dell’album che ben rappresentava le teorie analizzate?
Avrei potuto far ascoltare un pezzo di canzone, mostrare l’artwork dei dischi…
Sapevo di avere solo una decina di minuti, e quando sono scaduti è dovuto
intervenire il relatore a tirare le fila del mio discorso. Me la sono giocata
malissimo. Scrivere e riscrivere una cosa per settimane può darti l’impressione
di averla imparata, ma comunicarla in modo efficace è un'altra cosa. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Ed ecco la quinta foto, scattata prima
del frontale con il mazzo di fiori: io che infilo l’uscita dall’aula magna con
lo sguardo basso e le labbra serrate. Espressione che ho assunto anche in questo momento, concentrata
sul display della fotocamera e assente dai festeggiamenti di cui dovrei essere
protagonista.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
“Tutto bene, Clod?” mi chiede
Paola “Beh, potevo prepararla meglio la presentazione”, rispondo, per dare
sfogo alla sensazione di malessere che mi ha invaso . “Ma va, scema, sei andata
benissimo! E poi fanno così con tutti i professori: fanno finta di ascoltarti,
ma in realtà pensano solo a cosa ordineranno per pranzo al ristorante”. Sorrido
a Paola, anche se non sorrido dentro: lì dove ci dovrei sentire un’esplosione
di sollievo c’è un grumo di rabbia, e non so perché. O forse lo so, anche se
non mi va di raccontarmelo… Dopo tre anni di totale anonimato avevo finalmente
la possibilità di esprimermi, di raccontarmi, di spiegare perché avevo scelto
di trattare un argomento come la musica, e invece mi sono sentita ripetere la
lezioncina imparata a memoria. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Sono una secchiona, lo sono sempre stata, e non
ho nemmeno il coraggio di difendere le mie opinioni. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Mentre rimugino sull'occasione sprecata, attraverso il cortile e raggiungo i miei genitori, che in piedi in un
angolo osservano le manifestazioni di affetto più svariate, intontiti dal caos
che ha preso piede. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Non riesco a collocarli, tra le
mura dell’università e forse per questo che non avevo insistito perché
venissero oggi: si tratta di una laurea di primo livello in scienze della
comunicazione, non certo di un traguardo accademico. Ma alla fine sono contenta
che mi abbiano accompagnato: hanno appoggiato –e finanziato- ogni mia
decisione, senza mai chiedere un riscontro, e sarebbe stato egoista escluderli
da questa grossa parte della mia quotidianità. Mamma, che non mi farebbe mai un
complimento in pubblico, si preoccupa dell’aspetto pratico, chiedendomi se ho
deciso dove andremo a mangiare, mentre papà mi sorride, sintetizzando così quelle
mille parole che non riuscirebbe comunque a pronunciare. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Sono tutti fieri di me, tranne la
sottoscritta. Non voglio rovinare la giornata a nessuno, specialmente a me
stessa, ma non riesco a rassegnarmi al fatto che avevo una sola possibilità, e
non l’ho sfruttata al meglio.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Spiego a mamma che prima di
andare a pranzo dobbiamo aspettare il momento della proclamazione, e mi ributto
nella mischia. “E adesso cosa farai?” mi chiede mio cugino, e io rispondo
“vacanza”, che in fondo è quello che ho fatto finora… A scuola me la sono
sempre cavata senza grossi sforzi, e l’università non è stata un’eccezione: ho
riempito il mio libretto di esami e non ho perso tempo, ma non mi sono mai
messa in gioco davvero. Non ho mai fatto la fatica di mia sorella che sputa
sangue su quei modellini di architettura che la tengono in piedi tutta la
notte. E se non mi fa piacere quando mi dice che la mia facoltà è facile, è
perché so che ha ragione.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Io e altri cinque studenti
veniamo convocati nuovamente in aula magna per la proclamazione: i professori ci
attendono in piedi davanti al tavolo, e noi ci allineiamo di fronte a loro. Mi
laureo con 107 su 110. Un voto senza infamia e senza lode. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
“E adesso cosa farò?” penso, mentre stringo la
mano al professor Scurati, tenendolo stretta più a lungo del dovuto mentre cerco
nei suoi occhi di ghiaccio l’ombra di una risposta. Ma i suoi occhi mi
restituiscono solo la mia immagine riflessa.</div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-19163733349765362722012-12-05T13:53:00.000-08:002012-12-05T13:53:03.697-08:00Claudia, mia sorella<div style="text-align: left;">
Sto facendo un corso di scrittura. Lo sanno anche i soprammobili di casa mia. D'altronde, ho trovato casa al Pigneto e non posso non avere velleità artistiche, pena lo sfratto.</div>
<div style="text-align: left;">
Pubblico qui tutti i miei compiti a casa, perché sono una che non butta via niente, e così mento a me stessa sul fatto che sto trascurando il blog.</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
L'esercizio di questa settimane era immaginare il discorso che qualcuno avrebbe fatto al nostro funerale, e io che sono autoreferenziale a priori mi ci sono trovata a mio agio. Ho messo queste parole in bocca a mia sorella, conscia del fatto che in realtà lei sarebbe molto più spietata. Enjoy it!</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixMAcD4pD9NSoDq2IzltoGeqB9Z3_BXYdE6_bZuA46JF7Pu5YjD28khLlabMpP7_JgpnvKPEBveTv-VapWaN7ZnDs-ySudee1lwfspBTv-N-reDgKpNyXW1HqsoJN13YJEB7R_Lm_W3lg/s1600/baloons.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixMAcD4pD9NSoDq2IzltoGeqB9Z3_BXYdE6_bZuA46JF7Pu5YjD28khLlabMpP7_JgpnvKPEBveTv-VapWaN7ZnDs-ySudee1lwfspBTv-N-reDgKpNyXW1HqsoJN13YJEB7R_Lm_W3lg/s400/baloons.jpg" width="265" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
<span style="text-align: justify;"><br /></span></div>
<div style="text-align: left;">
<span style="text-align: justify;">Claudia ci ha messo una vita a
imparare a stare da sola con se stessa senza annoiarsi. Nessuno l’ha potuta
accompagnare in quest’ultimo viaggio, e sono sicura che sentirà molto più lei
la nostra mancanza che non noi la sua.</span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Non so quale Claudia vi resterà
attaccata alla memoria… Essere sorelle ha significato condurre due esistenze
parallele, almeno fino agli anni del liceo: l’anno e mezzo che separa le nostre
nascite era troppo breve per separare anche le nostre esperienze. E così, crescendo,
di Claudie ne ho conosciute tante, e resterò in compagnia di ognuna di loro. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Mia sorella era un organismo
mutevole, ma in ogni sua mutazione rimaneva ancorata ad alcuni punti fissi. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Aveva un profondo senso di
giustizia, e da quando si era tatuata un simbolo buddhista su un piede
affermava di credere nel karma, che chiamava così per svecchiare l’immaginario
cattolico sbandierato da nostra madre. Ma se la ricompensa non arrivava
immediatamente, non ci credeva più: se dopo un’ingiustizia subita gli eventi
non rientravano in carreggiata, soffriva di un istantaneo calo d’entusiasmo.
Era totalmente sprovvista di pazienza, per lei era tutto e subito. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Claudia non aveva mai pensato
alla morte, perché la morte non l’aveva mai sfiorata, eppure si sentiva morire
ogni volta che le cose non andavano secondo i suoi piani. Fortunatamente, non
ne faceva un dramma. Lo sconforto offuscava la sua costante euforia con la
stessa rapidità di una nuvola che per un attimo oscura il sole. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Tra i quattro stereotipi alla
Sex and the City in cui tutti abbiamo provato a riconoscerci, Claudia, anche se
giocava a fare Carrie, era 100% Charlotte, l’inguaribile ottimista. La sua
amica Laura, che apprezzava il cinismo di Miranda, dopo un paio di settimane di
frequentazione in università l’aveva ribattezzata Pollyanna-di-merda. Mai
soprannome fu più azzeccato.</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Claudia era empatia pura, e il
suo umore la cartina al tornasole dello stato d’animo delle persone a cui era
più legata. Era l’unica donna che conoscevo totalmente priva di mistero: era
come un fascio di nervi esposto, che rispondeva a qualsiasi stimolo senza
potersi controllare. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Azione e reazione, conditi
dall’occasionale pentimento. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Ricordo che alle medie, la
professoressa di lettere aveva fatto un test a tutta la classe: ogni studente
doveva immaginare un deserto e posizionarvi un cubo, una scala, un albero e un
cavallo. Questi oggetti simbolici rappresentavano concetti più ampi: il cubo ad
esempio era la proiezione della propria personalità e le caratteristiche attribuite
a questo solido raccontavano qualcosa della persona che l’aveva immaginato. Il
cubo che Claudia aveva immaginato era di vetro. E una Claudia fatta di vetro
non poteva nascondere nulla.</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Forse per questo ha sempre
avuto la lacrima facile, anzi facilissima; piangere era la sua risposta prediletta.
Col tempo, aveva affinato la tecnica, e piangeva in modo composto, senza che il
naso gocciolasse e senza fare smorfie, ma le lacrime non è mai riuscita a
trattenerle. Piangeva di commozione davanti alla bellezza , di frustrazione
davanti alla stanchezza, di rabbia davanti a un sopruso, di dolore davanti a
una delusione. Piangeva quando non le venivano le parole.</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
E questo è strano, perché
sappiamo tutti che Claudia parlava tantissimo: la comunicazione era un'altra
delle sue fisse.</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
C’è questa foto che è rimasta
negli archivi della nostra famiglia: ci sono io in fasce nella culla con gli
occhi fissi su mia sorella che in groppa al suo cavallo a dondolo sfoglia un
gigantesco libro: l’espressione concentrata e la bocca aperta suggeriscono che mi
sta raccontando una favola, metà inventata, metà rimaneggiata con l’aiuto delle
figure. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
A Claudia le storie sono
sempre piaciute. Le piaceva raccontarsi, come faceva nel suo blog, ma le
piaceva ancora di più sentirsi raccontare le vite degli altri. Non a caso, i
suoi film e i suoi romanzi di riferimento erano quelli che avevano come
protagonisti la gente comune, quelli che mostravano lo straordinario racchiuso
nel quotidiano. Aveva fatto suo il motto del pianista sull’oceano “non sei
fottuto veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui
raccontarla”, e per non rimanere mai a corto di storie, faceva un sacco di
ricerca sul campo. Era un’appassionata osservatrice del genere umano: giocava a
fare sociologia da quattro soldi, e riusciva a essere curiosa senza essere
maliziosa.</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Sento che mia sorella mi è
vicina, che in questo momento ci sta osservando e che avrebbe mille domande da
farci. Per questo vi chiedo di farle un regalo: la prossima volta che vi
ricorderete di lei, perché non le raccontate qualcosa che vi è successo, così da
tenerla occupata con le vostre storie? Sono certa che apprezzerebbe. </div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-16483658716468390902012-11-28T00:42:00.000-08:002012-11-28T00:42:30.689-08:00Suor Andreina<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_xoyv0Oul-qO9nIwRA3rQbnTch8xY7YsnrwzVD0dc2iWdAZ-ibVBhhi1U8EggKxgoGqFqd6LHWVR5kRooxU1agkG0sjs4OpPrbCo9RnP_V6DIyxUHSxa_3K4z9wi1AXChBY9TwgZt9fg/s1600/pastelli.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="261" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_xoyv0Oul-qO9nIwRA3rQbnTch8xY7YsnrwzVD0dc2iWdAZ-ibVBhhi1U8EggKxgoGqFqd6LHWVR5kRooxU1agkG0sjs4OpPrbCo9RnP_V6DIyxUHSxa_3K4z9wi1AXChBY9TwgZt9fg/s400/pastelli.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">Io ho
imparato a leggere a 5 anni, perché ho giocato tantissimo con il grillo
parlante che mi ha portato santa Lucia. Adesso ho 6 anni e mezzo e sto
imparando a scrivere in corsivo.</span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">La zeta in
corsivo maiuscolo è difficile: è piena di pance e trattini, e mi esce tutta
storta. Perché il mio cognome inizia proprio con la zeta? Suor Andreina sta
passando fra i banchi a controllare che abbiamo scritto il nostro nome corretto
sul quadernone di ortografia; lei è la nostra la maestra: è vecchissima, perché
ha i capelli grigi che le escono dal velo, e ha lo stesso odore che sento
quando prima di pranzo vado in cucina a prendere il cestino con il pane da
portare in refettorio.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">A mia mamma suor Andreina piace perché è
severa, a me non piace perché è troppo severa.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">Ecco, ho
fatto un pasticcio: ho scritto il mio nome tutto a penna e non riesco a
cancellare la zeta con la gomma, nemmeno se lecco il lato blu come mi ha fatto
vedere Marco. La mia zeta non sembra la zeta che suor Andreina ha disegnato con
il gesso sulla lavagna... la mia zeta è proprio brutta. Adesso strappo il
foglio e ci riprovo.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">Oggi sul
banco ho l'astuccio delle Barbie di Lidia. Lidia è la mia amica del cuore, e ci
scambiamo le cose: lei mi ha prestato le penne che profumano di frutta e io le
ho dato il mio temperino a forma di lattina di coca cola. Lidia però non è la
mia vicina di banco, anche se a me piacerebbe molto. In classe siamo in 22, 15
maschi e 7 femmine, e vicino a me ci sono Stefano da una parte e la finestra
dall'altra.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">La mia
scuola è più bella dell'asilo di mia sorella perché qui c'è un giardino
grandissimo, con le altalene che vanno veloce e un campo da calcio vero. Dentro
al giardino vive un pavone, tutto blu e verde: a me fa un po' paura perché
quando strilla sembra un elefante, però quando guardo fuori dalla finestra
dell'aula lo cerco sempre. A volte le suore lo lasciano uscire dalla gabbia, ma
non quando facciamo ricreazione. Settimana scorsa ho trovato nel prato una
piuma della coda, di quelle che il pavone usa per fare la ruota e l'ho regalata alla mamma. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">A me piace
tantissimo colorare, e anche a Luisa, la mia sorellina, ma lei è piccola e non
riesce a stare nelle righe. Ieri, durante educazione artistica, abbiamo
colorato l'autunno; era tutto su una fotocopia: una zucca, tre castagne e due
foglie cadute da un albero. Dato che ora sono grande, posso usare i pastelli acquerellabili,
che devo stare attenta a non far cadere, altrimenti si rompe la mina dentro e
ogni volta che si temperano si stacca la punta. Io ho una scatola di metallo
con 25 pastelli acquerellabili che tengo sotto al banco e quando li uso poi li
rimetto sempre via in ordine di colore, dal bianco al nero. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">Quando
dovevo colorare l'autunno ho preso il viola, il mio colore preferito, e ho
colorato la zucca. Sono stata velocissima. Ma quando ho chiamato suor Andreina
al banco e la ho fatto vedere cosa avevo fatto, lei non ha sorriso come fa
sempre la mamma quando le porto i miei disegni. No, lei mi ha detto: “Claudia,
le zucche non sono viola, sono arancioni”. Poi ha preso un'altra fotocopia e
due dei miei pastelli, quello arancio chiaro e quello arancio scuro, e ha
colorato un pezzo di zucca, facendo le sfumature. “Si fa così”, mi ha detto
“vai avanti da sola”. </span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">Mi sono guardata intorno: tutti i miei compagni stavano
colorando la zucca di arancione. </span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">Per fare le sfumature come quelle di suor
Andreina, lecco la punta del pastello, perché è così che si trasforma in acquerello.
Ha un sapore buonissimo, anche se non sa di arancione.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">Quando
sentiamo bussare alla porta, tendiamo l’orecchio, 22 pastelli si fermano a
mezz’aria e 22 paia di occhi guardano la maestra: suor Andreina va ad aprire,
fa entrare un uomo con dei grossi baffi neri e ci dice: “Bambini, questo è il
sindaco di Rodengo Saiano, salutate”. Io non so cosa fa il sindaco di lavoro,
ma so che è una persona importante. Io e i miei compagni diciamo “Buongiorno”,
perché ai grandi non va bene dire “ciao”. Il sindaco non dice nulla, guarda i
nostri disegni appesi alle pareti e la zeta sulla lavagna, poi sorride e se ne
va. Quando il sindaco chiude la porta però, suor Andreina non sorride: è tutta
rossa in faccia, ha le mani chiuse e pugno e urla “siete un branco di somari,
dovevate alzarvi!”. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">Siamo stati
davvero così somari? Noi ci alziamo sempre quando entrano le maestre, chi lo
sapeva che il sindaco è più importante delle maestre? E poi il sindaco non sembrava
arrabbiato, suor Andreina invece sì.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">Io non
voglio che Suor Andreina si arrabbi: quando si arrabbia strilla più forte del
pavone che sembra un elefante, quando mi sgrida io mi metto a piangere e quando
piango i miei compagni si mettono a ridere, e a me non piace e così piango
ancora di più.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">Ho pianto in
classe quando una volta mi sono dimenticata di fare i compiti di matematica, e
Suor Andreina mi ha messo un brutto voto. Non avevo mai preso <i>male</i>, io prendo sempre <i>bene</i>, e a volte <i>benissimo</i>. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">Ma quella
volta sul quaderno c’era scritto<i> male </i>grande,
in rosso, con tre punti esclamativi e a penna. Non potevo cancellarlo, e avevo
paura a dirlo alla mamma, ma quando lei lo ha visto mi ha spiegato che non era
successo niente, e che se la prossima volta sto più attenta non succederà più.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">Quando arrivo
a casa il pomeriggio la mamma prepara la merenda e io guardo i cartoni con
Luisa. I miei cartoni preferiti sono i puffi. Io vorrei essere puffetta, ma la
mamma mi taglia sempre i capelli corti come un maschio. Gargamella, che è
cattivo perché vuole mangiare i puffi, ha un vestito lungo e nero come quello
di suor Andreina. Io e i miei compagni invece abbiamo tutti il grembiule blu, e
sembriamo proprio i puffi.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;">Certi giorni
mi piacerebbe essere un puffo perché loro non vanno a scuola e non devono fare
i compiti. Ma poi mi ricordo di Gargamella e penso che anche se suor Andreina a
volte è cattiva, almeno lei non vuole mangiarci.</span></span></div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-60943427785438840692012-11-28T00:39:00.000-08:002012-11-28T00:39:46.099-08:00Grand Central, novembre 2006<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghoOkiLzX-0eKWUSdd2LeVKdXgh4P0xSrO3h5ddOESxhVJ50GvHB4-_jlBnUGGteDfrSUNcUXPx7ArSaj9MbhBiCcr_iJDqyQeTJer9VEgGiELb0Q9zKAKAPC781D06caVuPRBuRQqu_o/s1600/grand+central.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghoOkiLzX-0eKWUSdd2LeVKdXgh4P0xSrO3h5ddOESxhVJ50GvHB4-_jlBnUGGteDfrSUNcUXPx7ArSaj9MbhBiCcr_iJDqyQeTJer9VEgGiELb0Q9zKAKAPC781D06caVuPRBuRQqu_o/s400/grand+central.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNoSpacing">
L’unica cosa che mi da’ la forza di uscire dal piumone in
questa gelida mattina di novembre è il pensiero che da domani potrò
dimenticarmi di puntare la sveglia. Se mi alzo e inizio questa giornata, ogni
minuto che passa sarò più vicina a un’intera settimana di tregua da questo tour
de force.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Sono stata ripresa da Melissa perché negli ultimi giorni
il nostro rituale mattutino si è consumato in tempi un po’ stretti,
costringendo le bambine a fare colazione di corsa e rischiando di arrivare tardi
a scuola.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
In realtà la sveglia suona sempre alla stessa ora, ma
ultimamente gli incidenti di percorso si sono moltiplicati; ieri mattina ad
esempio, quando minacciava neve, Harriet voleva uscire di casa in maniche corte
e c’è voluto un quarto d’ora di trattative per convincerla che portarsi un
maglione non era poi un’ idea tanto malvagia. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
A me fino alla quinta elementare come mi vestivo lo
decideva mia mamma, e infatti sfoggiavo dei colletti con il pizzo da fare
invidia al piccolo lord Fauntleroy. A me fino a quando non ho raggiunto mia
mamma in altezza, se facevo i capricci arrivavano anche un paio di sculaccioni
ben assestati, a risolvere il contenzioso. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ma questi bambini americani sono organismi più complessi,
versioni in miniatura dei loro genitori, nevrosi e idiosincrasie comprese: e
così, mentre l’istinto mi urlava di infilare la testa e le braccia di Harriet
dentro un maglione, senza grosse giustificazioni, lo sguardo della sua mamma
affacciata sulla soglia mi obbligava a fingere di ignorare il tono polemico e
continuare l’opera di diplomazia. Infruttuosa. “Tu non puoi dirmi cosa devo
fare!” mi ha urlato a un certo punto Harriet, con un’aria di sfida che io non
ho sfoggiato nemmeno negli anni della
contestazione adolescenziale. E se dice queste cose adesso che ha cinque anni,
non oso immaginare che slogan farà suoi quando l’adolescenza arriverà davvero. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
L’aria è elettrica in questi giorni: sono tutte e tre
nervose, mamma e figlie, perché stasera arriva Steve, il papà di Lyla e
Harriet, a prendersi la sua fetta semestrale di affetto filiale. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Dell’ex marito so solo che se n’è tornato in Inghilterra
a inventarsi una nuova famiglia proprio nell’autunno del 2001 in un momento
drammatico sia per New York che per Melissa, che aveva recentemente perso la
madre poche settimane dopo aver avuto la seconda figlia. Sono poche
informazioni, ma sicuramente non rappresentano un buon biglietto da visita. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Un paio di settimane all'anno Steve, invece che essere
una voce dal forte accento di Manchester che telefona il giovedì per salutare, si
materializza e porta le figlie in vacanza con lui. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Sono genitori part-time, questi WASP che hanno studiato e
continuano a lavorare nella grande mela, ma che si sono spostati dal bilocale
alla villetta a nord della città per permettere alla prole e a un cane di
scorrazzare felici in giardino. Troppo impegnati a guadagnare soldi per pagare
l’au pair da sfoggiare alla cena di Thanksgiving per dedicarsi a passatempi
quali svegliare o mettere a letto i propri figli.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
E sono genitori full time le au pair europee e le
bambinaie sudamericane che si incontrano al parco giochi il pomeriggio, alla
guida di passeggini superaccessoriati.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
All'ora in cui Melissa scende in cucina per la dose
quotidiana di caffè e New York Times io rientro a casa dopo aver svegliato,
vestito, pettinato, sfamato e accompagnato a scuola le sue figlie. All'ora in
cui lei rientra per cena, io ho già rifatto l’intero processo al contrario.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Vivo con una mamma single, e non la invidio: dal lunedì
al venerdì è tappata in ufficio, mentre il fine settimana viene travolta da un
turbine di attività pianificate in modo che le figlie non si annoino mai. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Chissà cosa farà questo fine settimana, quando loro
saranno con il padre… l’uomo che prima l’abbandona e torna solo per portarsi
via le sue figlie; l’uomo cui lei ha
impedito di presentarsi a casa, perché sa che non riuscirebbe a nascondere il
dolore e la rabbia del distacco di fronte a Lyla e Harriet.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ha deciso che è meglio fare tutto in sordina, e ha quindi
chiesto a me di accompagnare le bambine in città, dove il padre ha preso una
stanza in albergo.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Nel pomeriggio preparo la valigia: Melissa vorrebbe darmi
delle indicazioni, ma non riesce a concentrarsi. Sono tre giorni ormai che è in
stato catatonico: è gelosa che le bambine vogliano passare del tempo con Steve,
e allo stesso tempo desidera che si trovino bene con lui anche questa volta, e
che non sentano troppo la sua mancanza. Ci accompagna in stazione, e riesce pure
a sorridere quando il treno lascia la banchina e noi la salutiamo dal
finestrino. Che donna: da grande voglio essere come lei. Magari con un pizzico
di fortuna in più. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Sul treno Lyla è euforica: mi racconta delle ultime vacanze
con il padre -d’estate in una casa in Toscana con una mega piscina, circondata
da uno stuolo di fratelli e sorelle acquisiti- e comincia a fare una lista di
tutto quello che vorrebbe fare in questi giorni speciali in città. Harriet è
invece silenziosa, combattuta tra la voglia di rivedere papà e la paura di
stare lontano da mamma. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Arriviamo a Gran Central all’ora di punta, e mentre
attraversiamo il grande atrio alla ricerca dell’uscita giusta per montare su un
taxi, l’incoscienza mi abbandona: d’un tratto è come se mi vedessi dall'alto
mentre tiro un trolley e tengo per mano due bambine di 5 e 9 anni, noi tre a
formare una piccola carovana colorata persa nella pancia di una città che non
conosco. Un brivido mi attraversa la schiena, nonostante mi renda conto che è
una cosa semplice quella che mi è stata chiesta, perfettamente calibrata sulle
mie possibilità. E infatti non ho problemi a fermare un taxi, caricare bagagli
e passeggeri e indicare l’indirizzo corretto al tassista. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Dal taxi telefono a Steve, e quando raggiungiamo
l’albergo lui è già sulla soglia ad aspettarci. La bambine gli saltano al collo
mentre io scarico la valigia, poi mi ringrazia e ci diamo appuntamento per la
domenica. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Mentre cammino veloce verso la metropolitana mi sento
leggera: sarà che sono ufficialmente in vacanza penso, e per cinque lunghi giorni
non dovrò prendermi cura delle bambine… Ma è una leggerezza strana questa, che
non mi fa rilassare, come quando hai la sensazione di aver dimenticato qualcosa
da qualche parte: forse non sono leggera, forse ho solo un grande vuoto dentro.
Ho lasciato Lyla e Harriet da cinque minuti, e già mi mancano. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Io che ogni lunedì avevo bisogno di essere rassicurata al
telefono da mia madre, per sentirmi ripetere che sarei sopravvissuta a un’altra
settimana, io che temevo quotidianamente di non farcela, io che facevo i capricci
perché non tutti i giorni erano come il sabato che passavo a perdermi tra le street
di Manhattan io ero in grado di prendermi cura di un altro essere umano. Anzi, di
due.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Le cose, dopo quel viaggio in treno, non sarebbero mai
più state le stesse: partivo figlia, sorella maggiore di due bambine al
seguito, e tornavo madre, o quasi.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Non sono mai cresciuta tanto in un pomeriggio solo. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-81692050571437719072012-11-11T06:44:00.000-08:002012-11-11T06:44:46.966-08:00Vernissage<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjf1dt8GLeCVceJxK-TAcHwP0AaMU6wEL9GOMf-dyf7rws1QKKldbOPQsIQudQXJ05JNbhS26bJBjzk6M1y0WbSS1Z33yqRpO9LbdwSvgYd_FiFrf_8bYwNLTIMCOLFSeF6nDeXRmfTfy8/s1600/cucina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjf1dt8GLeCVceJxK-TAcHwP0AaMU6wEL9GOMf-dyf7rws1QKKldbOPQsIQudQXJ05JNbhS26bJBjzk6M1y0WbSS1Z33yqRpO9LbdwSvgYd_FiFrf_8bYwNLTIMCOLFSeF6nDeXRmfTfy8/s320/cucina.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
<span style="text-align: justify;">“Alla galleria d’arte dove
lavora Marco inaugurano una mostra domani sera, potremmo fare un salto…” mi
dice Valentina, mentre scola la pasta. “Volentieri” rispondo io con genuino
entusiasmo, mentre cerco un buco per infilare la mia spesa. Siamo nella cucina
che da due giorni è anche la mia cucina. Una cucina piena di pensili pieni di confezioni
piene di cibo. Provviste per eserciti per mesi d’assedio. O uno degli schemi infernali
degli ultimi livelli di Tetris.</span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Valentina e Marco sono due dei
miei nuovi coinquilini. In tutto siamo in cinque, in questo “villino cielo
terra” come diceva l’annuncio su Porta Portese, recentemente ristrutturato, trasformato
in studentato e sottratto agli studenti assegnatari dopo un paio d’anni di
feste alla Animal House, che hanno messo a repentaglio non solo la sicurezza
degli occupanti ma soprattutto la struttura della casa. Ora l’affitto lo
paghiamo noi, trentenni lavoratori dalle belle speranze. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Cinque vite che si annusano
in questa grande cucina, e si nascondono dietro alle porte delle camere da
letto. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Casa nuova quindi, e coinquilini
nuovissimi. Non è la mia prima volta: dopo sei spostamenti negli ultimi otto
anni dovrei esserci abituata eppure… C’è sempre il brivido della scoperta. Potrebbe
andare benissimo, o diametralmente male. Ma sono un’ottimista cronica e poi,
come dice mia mamma “non ho sposato nessuno” quindi tanto vale provarci. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Sono a Roma da un paio di mesi, ho riallacciato i contatti con un gruppetto di amici fidati di base qui, ma gente nuova non l'ho ancora conosciuta. Mi sono trasferita per lavoro, incuriosita da come le
coincidenze si fossero allineate per facilitarmi la transizione da Milano nel
giro di tre settimane, e da Roma, che finora non ha deluso le aspettative. Però
il sabato sera a volte lo passo da sola. E non mi piace. Per questo ho puntato sul Pigneto:
perché sarà scontato, ma è il quartiere dove sembra che tutto sia sul punto di accadere.
E per questo ho scelto una casa grande, con un giardino pensato apposta per la
grigliate estive, e tanti coinquilini. Per moltiplicare le occasioni di
contatto umano.</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Arriva la sera dell’inaugurazione
della mostra: esco dall’ufficio dove ho passato 9 ore in compagnia di un mal di
testa martellante e mi dirigo verso via Giulia guidata da un pezzo di carta su
cui ho ricopiato minuziosamente la porzione di città suggerita da Google Maps. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Devo
smettere di convincere me stessa dell’inutilità di uno smartphone. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Valentina è in ritardo, ma mi
sono accertata, tempestandolo di sms, di trovare Marco il quale, appena mi
avvicino all’ingresso, mi viene incontro, mi saluta con trasporto e fa gli
onori di casa mettendomi in mano un bicchiere e riempiendolo di prosecco,
mentre mi presenta a alcuni suoi amici tutti incamiciati. La parola vernissage
mi scoppia in testa, seguita dall’aggettivo inadeguata riferito a me, con i
capelli non proprio freschi e un brufolo sul mento che il correttore non riesce
a mascherare. “Devo fare bella impressione”,
è il mio mantra. “questa gente non mi conosce. Non ancora, almeno”. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Guadagno del tempo infilandomi
in galleria per vedere le opere in mostra. Mi piacciono. Non saprei dire da che
corrente prendano ispirazione, o come venga espresso il <i>fil rouge</i> de “La città meccanica” che da’ il titolo, ma sono tutti
quadri che appenderei volentieri a casa. Mi piacciono i colori. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Quando mi affaccio di nuovo in
strada, trovo Matteo, il coinquilino numero quattro. Ci eravamo incrociati
dodici ore prima in pigiama a aspettare che la caffettiera si mettesse a gorgogliare
e quasi non lo riconoscevo nel trench avvitato che fa eco ai suoi tre anni
passati a Londra. Mentre ci lanciamo in un’accalorata discussione su quale sia
la capitale europea più vivibile e perché Roma non può rientrare nella lista
(argomento su cui sono ferratissima), ci raggiunge anche Valentina che
esordisce con “madò, mentre cercavo parcheggio vi sono passata davanti con il
lato della macchina tutto ammaccato!”. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
A quanto pare, non sono l’unica che ha
paura di sentirsi fuori posto.</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Dopo il terzo giro di prosecco
e sigaretta, Marco saluta l’artista, chiude la galleria e ci chiede se vogliamo
andare a cena con lui e alcuni suoi colleghi. Non che avessimo altri programmi.
Non io, almeno. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
E così senza quasi rendermene
conto sono seduta a un tavolo con otto persone e tra queste quella con cui ho
passato più tempo la conosco da due giorni. Di nuovo si riaffaccia il brivido
della scoperta. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Il mattatore della serata è senza
dubbio Antonello, un collega di Matteo che ha fatto della simpatia forzata il
suo marchio di fabbrica. È un atteggiamento abbastanza fastidioso il suo, ma che
in questa particolare situazione si rivela provvidenziale: la sua loquacità infatti
non lascia spazio all’imbarazzo proprio dei momenti di silenzio che si creano
tra persone che non si conoscono bene.</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
L’argomento che ci accomuna è
la casa, chiamata Fortebreaccio dal nome della via in cui si trova, e da tutti
i presenti frequentata in tempi non sospetti. “Se quelle mura potessero parlare…”
ci lancia l’assist Antonello e noi lo interroghiamo sulle feste epiche da lui
organizzate e subite, e il racconto si invischia nella nostalgia di aver visto
cose che noi umani possiamo soltanto immaginare… </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
E poi, proprio mentre la
serata sta scemando e io comincio a pensare che non è andata poi così male,
vengo assalita dalla nausea. Il segnale che mi lancia il mio corpo non potrebbe
essere più chiaro: devo vomitare, e il solo pensiero mi paralizza.</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Mi chiudo in bagno, mi infilo
due dita in gola, ma senza successo. Esco ripetutamente a prendere boccate d’aria
che però danno un sollievo solo momentaneo. È una cosa su cui non posso
esercitare nessun controllo. È il corpo, con i suoi bisogni primordiali, che
non rispondono nemmeno alla volontà più ferrea.</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Se fossi stata con i miei
amici, avrei espresso il mio disagio, dichiarato che la mia serata finiva lì e
sarei andata mestamente a casa a finire il lavoro. Ma lì, con loro, come potevo
fare? Cosa avrebbero pensato di me? Che mi ero sbronzata come un’adolescente?
Che non fumo mai, quindi un paio di sigarette mi avevano fatto stare male? Forse
era stata proprio l’ansia da prestazione a portarmi alla nausea. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
A questo pensavo, mentre
cercavo di non ascoltare i crampi allo stomaco e mi dirigevo con Marco, Vale e
Matteo verso la macchina. Facevo la conta dei minuti che mi sparavano dall’intimità
del mio bagno, e pensavo che potevo farcela a trattenermi, quando ho sentito lo
stomaco strizzarsi nuovamente. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
E così la nostra prima uscita
insieme sarà ricordata come la serata in cui ho preso Valentina per un braccio
e con tono gioviale le ha detto: “andate pure, io vi raggiungo, dopo aver
trovato un angolo dove vomitare.” Così, testuali parole. Lei ci ha messo un
attimo a registrare l’informazione, poi mi ha seguito premurosa sfoderando un
pacchetto di fazzoletti. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Un modo abbastanza anticonvenzionale
di rompere il ghiaccio, lo riconosco, ma sicuramente efficace. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Dopo questo, come farò a
sentirmi nuovamente in imbarazzo in loro presenza? </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Fortebraccio si prepara a rinverdire
i fasti passati. </div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-73300000334038434942012-09-30T11:36:00.001-07:002012-09-30T11:36:43.194-07:00AmoRomA<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgm7Gvi1WVB3r-deuZJxSusCCf8sFMc0lQt_lOakh2xyBM4a8B0lcc_eSkid6vbrhR4qZvUYPlxKa2SD0MMidCfALCOvS0O3kF4NlVVSjlslMvIudEvz_Zkt9pwvyBcfeiH1iBehDFVkos/s1600/IMG_0665.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgm7Gvi1WVB3r-deuZJxSusCCf8sFMc0lQt_lOakh2xyBM4a8B0lcc_eSkid6vbrhR4qZvUYPlxKa2SD0MMidCfALCOvS0O3kF4NlVVSjlslMvIudEvz_Zkt9pwvyBcfeiH1iBehDFVkos/s400/IMG_0665.JPG" width="400" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="text-align: center;">Settimana scorsa passeggiavo per Trastevere a cartina spiegata.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Sapevo di aver percorso quelle stesse strade mezza vita
prima, e i vaghi ricordi fra cui pescavo si concentravano intorno alla piazza
con la fontana e la chiesa con i mosaici sulla facciata.</div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<div class="MsoNormal">
Sapevo anche che, grazie all'iconografia cinematografica che
spesso cambia la nostra percezione dei luoghi, Trastevere è la Roma che chi
vola fin qui dall'altro lato del globo vuole trovarsi davanti agli obiettivi. </div>
<div class="MsoNormal">
La
zona di Trastevere è talmente bella che non c’è bisogno nemmeno di usare Instagram
per fotografarla. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Ci sono i panni stesi ad asciugare fuori dalle finestre
(panni che sospetto strategicamente posizionati) e ieri (come forse tutti i
giorni) c’erano quattro signore sedute in un vicolo a prendere il fresco sotto
a un pergolato e da navigate comparse facevano finta di ignorare le dozzine di
fotografie che cercavano di rubar loro l’anima verace. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Trovata la piazza di Santa Maria in Trastevere, ho messo via la cartina e
ho deciso che potevo permettermi di perdermi un po’. Gironzolavo macchina
fotografica alla mano, alla ricerca di scorci suggestivi (e non c’è da
impegnarsi molto) quando vengo fermata da una coppia di vitaminici americani;
mi prendono per una local </div>
<div class="MsoNormal">
– moto d’orgoglio mio automatico, subito
ridimensionato dell’accorgermi che la scelta loro era dettata dal fatto che
fossi l’unica lì intorno senza la Lonely Planet sottobraccio – </div>
<div class="MsoNormal">
e mi chiedono se
conosco un bar che si trova nelle vicinanze e che è famoso per servire più di
20 birre. Fingo di pensarci, poi confesso che sono a Roma solo da tre settimane
ed è la prima volta che mi avventuro a Trastevere. La ragazza spalanca gli
occhioni appesantiti da quello che è decisamente troppo mascara per un
aperitivo a base di birra e ripete le mie stesse parole, ma con intonazione
interrogativa: “Tre settimane ed è la
prima volta qui?” “Sì” rispondo, e ci attacco lo spiegone di come “Roma è una
città grande, la gente fa tanta vita di quartiere…”, una mini lezione di
sociologia interrotta del mio interlocutore che, recidivo, riprova a estorcermi
l’informazione del bar con le 20 birre. Spero che il bar abbia trovato loro. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
E’ colpa dei film. A Roma si gira in Vespa accompagnati da
un uomo affascinante che offre sempre da bere, come la Hepburn in “Vacanze
Romane”, si fa il bagno di notte nella fontana di Trevi per sedurre un altro italiano
affascinante, come la Ekberg in “La dolce vita” e si affitta una stanza senza acqua
calda da un’anziana signora cattolica ostile al divorzio, come la Roberts di
“Eat, pray, love”. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Questi film hanno fatto sognare anche me, che sono una grande sostenitrice
del mangiar bene e del ritagliarsi periodi sabbatici per vivere in un contesto
nuovo, ma purtroppo alcuni dettagli sfiorano la fantascienza: a Roma in Vespa
si rischia la vita, gli uomini hanno il portafogli blindato, se tocchi l’acqua
della fontana di Trevi ti arrestano e l’insegnante di italiano di Julia Roberts
è Luca Argentero, non dimenticatelo. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Mi fanno un po’ tenerezza i turisti di oltreoceano che
pensano alle parigine come ad Amélie
Poulain, ciliegina sulla torta dei deliziosi bistrot di Montmartre, e ai romani
come ad Albertone Sordi provocato dai maccheroni che arrivano dritti dritti dalle
cucine delle osterie. </div>
<div class="MsoNormal">
Mi sarò macchiata anch'io dello stesso
crimine dello stereotipo impietoso, come pensare che i thailandesi siano una
popolazione pacifica perché sorridono sempre, ma almeno fra europei ci teniamo
d’occhio più da vicino e ci insultiamo in piena coscienza.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Io non conosco Roma. Non la conoscevo prima di trasferirmi
qui e non la conosco ora, dopo un mese di approcci misurati. Ho imparato come
arrivare in ufficio e come tornare a casa. So dove andare a fare la spesa e
grazie a Chiara, premurosa coinquilina, mi muovo a Monte Sacro. Ma poco altro:
per me Roma è ancora un magma indefinito di monumenti e persone che qui ho
ritrovato; ci vorrà del tempo prima di compilare la mia personale lista di
ristoranti, negozi, locali, parchi, posti per gite fuori porta, eventi… </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
So con chi mi devo misurare questa volta, e soffro una forma acuta di timore reverenziale: Roma è
una città intrigante, come quelle donne bellissime e irraggiungibili di cui ti
innamori follemente e per cui pensi valga la pena struggersi. Spero solo che questa volta il mio
amore incondizionato sarà ricambiato.</div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-38107845336493268302012-09-06T15:24:00.000-07:002012-09-06T15:24:15.177-07:00Day one<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipiQVJELmzvulTSCBJwHNdsb4rHpz9V4PNzq2TEVPPcUvfZJ438xoY36ivqjqTaj2CBrEPte6Jswi5gxyna7i19Jv7t43BA747TxZ7Kx9W76qbPbR0ZsgjSD7bPCCLaX8AGYufRyPPwvY/s1600/first-day-at-work-interview-outfit-570x445.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="249" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipiQVJELmzvulTSCBJwHNdsb4rHpz9V4PNzq2TEVPPcUvfZJ438xoY36ivqjqTaj2CBrEPte6Jswi5gxyna7i19Jv7t43BA747TxZ7Kx9W76qbPbR0ZsgjSD7bPCCLaX8AGYufRyPPwvY/s320/first-day-at-work-interview-outfit-570x445.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 7.25 </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Apro gli occhi e controllo l’ora. Mi rendo conto di
essermi svegliata 5 minuti prima che suoni la sveglia. E la cosa mi da’ proprio
fastidio. Per protesta rimando tutto di 10 minuti. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 7.40</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Mi trascino in bagno, dove mi lavo sommariamente. In
parte perché sono ancora in coma, in parte perché sono già in ritardo.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 7.55</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Esco di casa e mi avvio verso la fermata dell’autobus. Il
mio autobus lo vedo passare mentre sono all’edicola che compro il biglietto. Appunto mentale: da
domani tento il salto dal balcone alla Fantozzi. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 7.56 – h 8.07</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Mi piazzo davanti al cartello con le fermate e conteggio
quelle che devo farmi per raggiungere la metro. Sì, ci impiego tutto il tempo
necessario a imparare la sequenza a memoria. Perdere la via dell’ufficio il
primo giorno di lavoro è una prospettiva che mi terrorizza.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 8.07 – h 8.35</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Durante l’intero tragitto guardo fuori dal finestrino e
controllo ossessivamente la posizione dell’autobus sulla cartina che ho aperto
sulle gambe. Su questa linea ci sono 7 fermate con lo stesso nome che forse anche
per questo motivo non vengono annunciate; riesco lo stesso a scendere dal bus prima
di farmi il giro turistico del centro.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 8.35</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Prendo un’affollatissima metro fino a Lepanto e quando
riemergo dal lato giusto della strada mi congratulo con me stessa dandomi un'immaginaria pacca sulla spalla.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 8.45</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Perlustro la via e mi infilo in un bar per fare
colazione. Chiedo una brioche e mi danno un cornetto. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 8.55</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Il suddetto cornetto contiene almeno 3 cucchiaiate di
marmellata, il che rende difficile il mangiarlo senza sporcarsi o farsi venire
il diabete. Consapevole di aver bisogno di tutte le energie che riesco a racimolare
non lo abbandono, ma continuo a sbranarlo mentre mi incammino verso l’ufficio </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 9.03</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Arrivo in ufficio in orario. L’atrio è pieno di gente che
non conosco. Sfodero il mio miglior sorriso da repertorio dimenticandomi di avere i denti glassati di marmellata e annuncio “Sono
Claudia. Buongiorno!”. Segue un silenzio inaspettato. Proprio quando ci starebbe a pennello un genuino “e ‘sticazzi!” qualcuno mi chiede di rettificare
“Claudia Buongiorno?” “No, Zanetti. Buongiorno era il saluto”, mi sento dire,
mentre scappo a nascondermi.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 9.07</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Vengo messa a fare fotocopie. Centinaia di fotocopie. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
E io che pensavo di aver trovato un lavoro…</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 9.24</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Come da manuale, la fotocopiatrice si inceppa. Seguo le istruzioni sul
display, estraggo il foglio inceppato e faccio ripartire. Ripeto questa
operazione 6 volte, poi decido di indagare più a fondo. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 9.27</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Mi ritrovo un pezzo della fotocopiatrice in mano. Non c'è modo di reinserirlo nella guida da cui è scivolato. Prima di scoppiare a
piangere, chiedo aiuto. Un fonico tuttofare non si lascia intimorire e con un
paio di colpi ben assestati l’emergenza rientra. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 9.30 – 11.00</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Improvviso un lavoro che nessuno mi ha illustrato,
attendendo con ansia la venuta della persona che sono chiamata a sostituire: un
profetico biglietto lasciato sulla nostra scrivania annunciava la sua
apparizione. <br />
</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Durante l’intera giornata mi vengono presentate delle
persone con cui decido in modo completamente aleatorio il grado di confidenza.
Ovviamente do del <i>tu</i> a tutti quelli
che puzzano di “lei non sa chi sono io” e mantengo le distanze del <i>lei</i> con i collaboratori più stretti,
indipendentemente dall’età. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 11.34</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Per dimostrare che sono una che non si lascia intimorire
da questioni di ordine pratico, provo ad aggiustare una graffettatrice
inceppata. Mi sparo un punto nel dito, ma non faccio una piega. Non fosse che
ho lasciato una macchia di sangue sul fascicolo, non se ne sarebbe accorto
nessuno. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 13.15</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Sbaglio tasto e invece che passare una telefonata la
chiudo in faccia al cliente. Litigo con quella macchina infernale per tutto il
pomeriggio: a quanto pare fa uno squillo diverso se la telefonata arriva da
fuori o è interna, ma io non lo capisco mai e così ripeto una ventina di volte ai
miei 5 colleghi che sono Claudia, lavoro nel loro stesso ufficio e vorrei tanto essere
utile.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 14.45</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Vado in pausa pranzo prima che un calo di zuccheri mi
tagli le gambe. Mangio da sola e in piedi, ma la pizza è ottima. Dopo 20 minuti
sono di nuovo in ufficio. Ho proprio paura di annoiarmi.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 19.58</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Dopo 10 ore e mezza di luce artificiale sventolo bandiera
bianca. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 20.10</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Faccio un po’ di spesa nel supermercato più caro di Roma.
Al banco gastronomia una signora fa l’errore di passare avanti a un signore confidando
nella sua cavalleria e spergiurando di non averlo visto in coda. Scoppia l’alterco,
subito sedato dalla commessa con un perentorio: “mettetevi d’accordo che fra 10 minuti
chiudo, altrimenti non servo nessuno”. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Arrivo in cassa quando mancano 10 minuti alla chiusura, e
si sente. Chiedo due borse per la spesa e mi danno due buste. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 20.30 – 20.34 </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Scendo in metropolitana e aspetto che sul tabellone
appaiano i minuti di attesa</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 20.35</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Appare il messaggio “Prossimo treno, 3 minuti”. Il
messaggio resta lì per i successivi 7 minuti.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 20.40</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Incontro un mio collega, che mi intrattiene con storie
dell’orrore che hanno come protagonista i mezzi pubblici romani. L’argomento di
conversazione diventa presto Milano, e la sua efficienza. Ma non sono io a
difendere il nord. Quando arriva la mia fermata, non riesco ad abbattere il
muro di turisti tedeschi che staziona davanti alle porte. Scenderò a quella dopo, mi suggerisce il mio spirito d'adattamento. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Nello scendere dalla metro, il sacchetto della spesa si
impiglia e si strappa. Raccolgo i viveri dalla banchina prima che vengano calpestati.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
</div>
<div class="MsoNoSpacing">
h 21.15 </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Scendo a quella che penso sia la mia fermata e mi
incammino. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Percorro lo stesso tratto di marciapiede per 3 volte
avanti e indietro prima di trovare la via. Dopo tanto camminare le maniglie del
sacchetto superstite cedono. La spesa me la carico in braccio.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
21.27</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ancora abbracciando la spesa, cerco di infilare la chiave
nella serratura, ma non riesco ad aprire: poi mi accorgo di aver sbagliato
portone. Lo sbaglio un’altra volta, passando dal civico 1, al 3 e infine al 5,
quello giusto. <br />
Solo quando raggiungo il
quarto piano (in ascensore) e trovo Chiara e un piatto di pasta fumante che mi
aspettano capisco che, nonostante tutto, è stata una gran giornata. </div>
Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-47174322854013678352012-07-14T05:46:00.000-07:002012-07-14T05:47:21.111-07:00Part-time hooligan<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiYJrp-LNrhvhd4BYQCkJNbuHr1sChAI8hcun9GSwF8Niyts5uUUqz-kV_FMUz0Yo4Z-S5Ba5B3ETzBBcxVodEkKaIJ2RJil_ZzdCp4lkXSG_dPjURBx5eTVzKkk0xwhMelb57vHOeRkfc/s1600/football3.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiYJrp-LNrhvhd4BYQCkJNbuHr1sChAI8hcun9GSwF8Niyts5uUUqz-kV_FMUz0Yo4Z-S5Ba5B3ETzBBcxVodEkKaIJ2RJil_ZzdCp4lkXSG_dPjURBx5eTVzKkk0xwhMelb57vHOeRkfc/s400/football3.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
</div>
<div class="MsoNoSpacing">
E grazie al cielo, a due settimane di distanza, nessuno
sembra ricordarsi che la nazionale spagnola ha umiliato quella italiana sul
capo di battaglia dell’epico scontro europeo, stravincendo con punteggi da oratorio
una partita di rilievo per il mondo del sempre meno nobile giuoco del calcio. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Non abbiamo vinto gli europei. “Abbiamo” chi, poi? Io non
ero a Kiev, domenica primo luglio: non ero né in campo, né in panchina, né tantomeno
sugli spalti, eppure… il calcio porta con sé un campanilismo difficile da rintracciare
in altri sport e soggetto a violente derive provinciali: quanti i bresciani che
hanno lamentato una mancanza di attenzione nei confronti dei giocatori nostrani,
con tre concittadini pilastri della nazionale (Pirlo, Balotelli e Prandelli) e
nemmeno uno schermo tirato su in piazza per la finale. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Abbiamo perso la finale contro una squadra che anche ai
miei occhi inesperti è risultata nettamente più forte, con la palla che
continuava a rimbalzare tra i piedi di giocatori spagnoli di cui continuerò a
ignorare il nome con la rapidità della pallina di un flipper.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Io la finale l’ho vista tutta, anche se non l’ho proprio
vissuta: sprofondata in poltrona dopo un’overdose di carboidrati, mentre
cullavo una birretta e mi sbriciolavo patatine in grembo, ho fatto fatica a
tenere gli occhi aperti per l’intera durata del secondo tempo, quando tutto
poteva ancora succedere ma quando già nessuno ci credeva più. Con gli altri 8 <i>casual supporter</i>, abbiamo sportivamente
aspettato il doppio fischio dell’arbitro per lasciare casa e vagare in un centro
città deserto alla ricerca di un gelato. Non spinti dal bisogno di consolarci,
ma semplicemente consapevoli di meritarci una ricompensa per la lunga
sopportazione. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Non avevamo motivo di rimanerci male: d’altronde, nessuno
che dica una frase qualsiasi di quelle riportate qua sotto può considerarsi un
tifoso:</div>
<div class="MsoNoSpacing">
“Vabbè dai, non sono mica i mondiali… E poi non
dimentichiamoci che i crucchi li abbiamo mandati a casa”</div>
<div class="MsoNoSpacing">
“Era peggio se perdevamo ai rigori, no?”</div>
<div class="MsoNoSpacing">
“Chissà che servizietto gli fa Shakira a Piqué questa
sera…” </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Le qualificazioni invece, mi hanno incuriosito di più:
come quando la sera di Italia - Inghilterra sono rientrata a casa dei miei a un’ora
in cui i miei sono solitamente in fase rem per trovarmeli entrambi con il fiato
sospeso davanti ai rigori. Mio padre, che non concede mai alla televisione il
100% di attenzione, quella sera non aveva il giornale dispiegato sulle
ginocchia e quando Pirlo si è dilettato con il cucchiaio, ha accennato un
applauso. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
La semifinale ho rischiato di non vederla: sapevo che sarei
rientrata tardi a casa e che ci sarei rimasta, e mi ero studiata la guida TV.
Sapevo anche che c’era la partita, ma la controprogrammazione mi aveva già messo
in difficoltà: alla stessa ora davano anche Milk, il film di e con Sean Penn, e
un documentario sulla minigonna. Il progetto era quello di iniziare con il
documentario, passare alla partita al secondo tempo e in caso di noia ripiegare
sul film che comunque avevo già visto.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Il mio piano sapientemente elaborato ha subito però una
brusca modifica quando ho aperto la porta e ho visto Marta, la mia coinquilina,
in assetto da hooligan. La Marta, che il giorno prima l’aveva passato nel backstage
della sfilata di Gucci a picchiettare lucidalabbra sulle bocche perfette di una
dozzina di modelli, e il giorno stesso aveva messo le mani in faccia a Raul
Bova (lo so, il mondo del lavoro è ingiusto), era sull’orlo del divano
praticamente in reggiseno in un bagno di sudore, un fascio di muscoli pronto a
saltare come una molla, con il collo allungato e gli occhi alla Schillaci che
non perdevano nemmeno un’azione. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
In effetti, la disposizione dei mobili nel nostro
appartamento non è il massimo: la TV, redenta sulla via dell’isola ecologica,
ha uno schermo bonsai e per leggere le grafiche bisogna starci a un metro di
distanza. Peccato che il divano si trovi ad almeno 3 metri dal mobile TV, e che
tra il divano e la TV troneggi il tavolo da pranzo. Ma la necessità aguzza l’ingegno,
si sa: approfittando della pausa tra primo e secondo tempo ci siamo inventate un improbabile accrocchio
di cavi, mettendo a repentaglio il già debole segnale dell’antenna, e questo ci
ha permesso di spostare la TV sul tavolino da caffè e di goderci il secondo
tempo spiaggiate come Paolina Borghese, dando fondo a un’intera confezione di
oneste birre del Lidl che custodiamo in frigo per i momenti speciali. Mancava
solo la frittatona di cipolle a completare il quadretto. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Esilarante il nostro commento tecnico:</div>
<div class="MsoNoSpacing">
“Hai notato che prima stavamo molto più di qua che di là?”</div>
<div class="MsoNoSpacing">
“Ma il mediano è come il centrocampista?”</div>
<div class="MsoNoSpacing">
“Questo è carino. È tedesco?”</div>
<div class="MsoNoSpacing">
“E questo? Si è fatto le mèches?”</div>
<div class="MsoNoSpacing">
“Bene, ora dove andiamo a fare gol? A destra o a sinistra?”</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<span lang="EN-US">“ohohoh
Balotelli, you’re a striker…”</span></div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
E poi sono arrivati i gol: e dalle finestre aperte è
entrato il boato del bar sotto casa.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Io e Marta ci siamo abbracciate, consapevoli
dell’assurdità della situazione: perché non c’è nessuna spiegazione logica
dietro all’euforia che ti prende in momenti così, è nonostante ciò conviene non
lasciar spazio ai sensi di colpa e abbandonarsi ai festeggiamenti, che una
botta di endorfine ogni tanto sicuramente male non fa. <span style="background-color: white;"> </span></div>Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-57494262375919805492012-06-10T16:11:00.001-07:002012-06-10T16:15:42.922-07:00Ricominciare stanca<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkRe6YIKnUvLKo07ZAaS5Wrd8P5xzbFelXzHlNXO3kWWFb5AiU4NAL8diXXMJQe_4ydIu9LeBz4-Zs0mq08B_-WWOqTdldEJzp4JM1UGctEGb8-Mab98H_PhjzHICVlHsThWq4_avn1zA/s1600/paper+lamps.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="265" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkRe6YIKnUvLKo07ZAaS5Wrd8P5xzbFelXzHlNXO3kWWFb5AiU4NAL8diXXMJQe_4ydIu9LeBz4-Zs0mq08B_-WWOqTdldEJzp4JM1UGctEGb8-Mab98H_PhjzHICVlHsThWq4_avn1zA/s400/paper+lamps.jpg" width="400" /></a></div>
È stato un weekend di incontri fortuiti, lo scorso, in cui mi sono imbattuta in conoscenze non frequentate da anni. In occasioni come queste, la domanda che mi sento rivolgere e cui mi trovo a rispondere più spesso è “cosa fai adesso?”, la precisione di quell’“adesso” a segnare questi tempi incerti.<br />
<br />
La risposta standard è “faccio questo, però…” fateci caso: c’è sempre un però –però ho firmato un contratto che già puzzava di scadenza, però non è quello che voglio fare, però non mi pagano abbastanza… Non ho ancora incontrato una persona che risponde “faccio quello che ho sempre voluto fare e che spero di fare per il resto della mia vita”. <br />
<br />
Il cambiamento è ormai diventato abitudine per una generazione che anela ad annoiarsi nella routine consolidata. <br />
<br />
Il colloquio di lavoro è sempre un momento delicato: la curiosità del potenziale datore di lavoro si concentra non tanto sulla formazione o sull’esperienza professionale, ma sugli intervalli fra un lavoro e l’altro. <br />
<br />
Erika, che ha appena concluso un’intensa stagione di colloqui milanesi, conosce bene la procedura, ed è l’autrice di alcune delle risposte migliori da usare in alternativa all’ovvia e onesta: “negli ultimi 3 mesi non ho lavorato perché ero troppo impegnata a cercarmelo, un lavoro”, o alla sintetica, ma antipatica “i fatti miei”. Ecco la mia personale classifica: <br />
<br />
Non ho lavorato perché <br />
a) Ho fatto un safari fotografico in Namibia, tra giraffe e elefanti. <br />
b) Sono stata in Giappone a vedere la fioritura dei ciliegi. <br />
c) Ho scopato. Tantissimo. <br />
<br />
Mi torna alla mente un pomeriggio di un paio di mesi fa: mi ero appena ritrasferita a Milano dopo aver trovato un lavoretto part-part-time: avere una settimana lavorativa di 12 ore è l’ideale per l’equilibrio psicofisico, peccato che significhi fare la fame, e che probabilmente non sia nemmeno legale, ma tant’è… <br />
Uno di quei lunghi pomeriggi liberi che ormai sono solo un ricordo comunque, lo stavo passando su una panchina di parco Sempione con il mio ex che, conoscendo il mio zelo lombardo, indagava su come riempissi le mie giornate. A me già il fatto di trovarmi lì, a perdere tempo in inconcludenti riflessioni sulla fine della nostra relazione, sembrava esemplificativo, ma per dovere di cronaca, gli ho fatto una lista; cosa faccio quando non lavoro? Vediamo: passeggio, chiacchiero (anche le due cose insieme, anche da sola), stilo la classifica delle migliori gelaterie di Milano, mi alleno nel window shopping allungando la lista di tutto quello che mi comprerò quando sarò ricca, passo l’aspirapolvere, vedo gente… non mi annoio, insomma… <br />
Sono cintura nera di cazzeggio, e ne vado molto fiera. <br />
<br />
E poi, se non ti perdi d’animo, proprio quando ti stavi abituando alla vita del clochard, il lavoro arriva. E ti sconvolge il delicato equilibrio fatto di ritmi e riti sedimentatisi col tempo. Esemplare in questo senso la sintesi regalata da Valeria apparsa sulla sua bacheca qualche tempo fa. Ricominciare stanca. <br />
<br />
<i>Che palle ricominciare sempre tutto daccapo porca merda! Casa, gente, amici, relazioni, hobby, palestre, librerie, biblioteche, mercati, negozi fighi, edicole di fiducia, bar di fiducia, routine, marche preferite, scorciatoie, negozi economici, poter dire "conosco uno che", guardaroba, alimentari in sconto, i segreti per accendere il fornello di casa, i vicini gentili e quelli da evitare, le abitudini degli altri, il cap di casa, le feste annuali, quando ci sono i fuochi di artificio, i giorni della monnezza sempre sempre sempre di nuovo rifare tutto da capo e rimemorizzare. Basta reinserirmi sempre dappertutto, chiede che succede in giro, trovare l'appassionato di film di turno, la gelateria più buona, dire "è che non abito da molto qua", i nomi dei quartiere, gli orari dell'autobus, i giri a vuoto, i contratti internet, non aver presente i vari "ti ricordi quando" e cheppalle pensare qualcosa da fare e poi dire "vabbe ma tanto tra un po me ne vado". Choose life stocaz </i><br />
<br />
Succede: io ho fatto un anno che possiamo definire sabbatico, se non disoccupatico, e poi nel giro di 3 mesi mi sono trovata a palleggiare due lavori, con risultati altalenanti. Ma va bene così. Anche perché che alternative ho? <br />
L’impressione è quella di non riuscire a mantenere un controllo sulla propria vita: virtualmente siamo tutti liberi di fare qualsiasi cosa ci passi per la testa, ma per farlo dobbiamo prima aspettare che qualcuno ce lo conceda. <br />
<br />
Mi sono iscritta a un corso per ottenere una qualche qualifica che mi permettesse di ricominciare fuori dall’Italia, con l’obiettivo di farmi l’ennesima ultima esperienza all’estero; le congiunzioni astrali invece mi hanno riportato a Milano, città che già mi aveva regalato due anni bellissimi e che io non avevo fatto nemmeno rientrare nella rosa delle destinazioni possibili. <br />
<br />
La mia vita è qui, e io volevo cercarla altrove. Grazie al cielo, il cielo mi ha riportato sulla strada di casa.<br />
<div>
<br />
Mi confrontavo su questo con Andrea, in un’innocente chattata che a un tratto ha preso una svolta decisamente marzulliana: la riporto di seguito, nella sua sgrammaticata interezza...<br />
<br /></div>
<div>
<b>C: </b>dato che l'anno scorso ho lavorato 3 mesi, ora per recuperare </div>
<div>
faccio 2 lavori, più o meno part-time <br />
1. insegnante di inglese <br />
2. segretaria/redattrice/jolly @ deejay TV </div>
<div>
(rientrata dopo 3 anni di assenza) </div>
<div>
<b> A: </b> uahhaha...a volte ritornano! <br />
<b> C: </b>sempre ritornano! </div>
<div>
<b>A:</b> dai comunque va bene, ti tieni super impegnata e mi sa che in </div>
<div>
questo periodo è la priorità! </div>
<div>
Sono contento di sentirti 'in movimento” <br />
<b>C:</b> sì. anche se non avrei mai pensato di ricominciare da Milano! <br />
<b>A: </b>uh...sapessi quante cose io non avrei mai immaginato <br />
<b>C:</b> Io dopo Francoforte volevo ripartire immediatamente! <br />
<b>A:</b> suppongo sia necessario lasciarsi sorprendere <br />
<b>C:</b> volevo scriverlo io! è bello quando è la tua stessa vita </div>
<div>
a sorprenderti! <br />
<b> A:</b> si, a volte e' una lotta, a volte e' bello... </div>
<div>
trovare la chiave di lettura facilita il processo di assimilazione <br />
io ci ho messo un po' ad essere sincero, ma ora va meglio. <br />
Sto imparando a modellarmi sulle mille cose che vogliono </div>
<div>
succedere per forza; cerco di goderne quanto più </div>
<div>
possibile, almeno… </div>
<div>
<br />
Forse il segreto è dimenticare programmi e traguardi, e prendere alla lettera Bukowski quando afferma "la cosa più pericolosa da fare è rimanere immobili”. <br />
<br />
Jon, che da un anno è a capo del dipartimento di testing di un azienda francese dove i dirigenti hanno tutti meno di 30 anni, ha chiesto a tutti i suoi colleghi di pensare prima dove si trovassero esattamente un anno fa e poi dove si vedono fra un anno. Non si può dare nulla per scontato. Non si è mai arrivati, se non ci si prefigge un punto d’arrivo. <br />
<br />
Quello che mi da’ la forza di andare avanti è il sognare, anzi il desiderare una vita piena, e bella. Una vita bella piena di vita. Dato che le soddisfazioni in campo lavorativo non sono all’ordine del giorno, accontentarsi di una soluzione di comodo non è un’opzione. Con tutto l’impegno che ci si mette a rimanere in carreggiata e a mantenere un livello di entusiasmo adeguato alla sopravvivenza, dobbiamo convincerci che ci meritiamo sempre di più di quello che questi tempi grami possono offrirci. </div>Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-20486777119270832502012-05-28T12:52:00.000-07:002012-05-29T04:40:07.645-07:00Un ragazzo per l’estate<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4ry6cONGdG9twZLtquuZ0ac7K26gJlmVhCf2ttHi9tgY8afbmkP6o9Tt0vEmUqYqucoaV-GDfgqn7LxBp420fbWyBLzh3dSsxDJQjgTynlnNxkds6rPagncGJEamNXKY5xzA5t02QmB4/s1600/couple.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="267" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4ry6cONGdG9twZLtquuZ0ac7K26gJlmVhCf2ttHi9tgY8afbmkP6o9Tt0vEmUqYqucoaV-GDfgqn7LxBp420fbWyBLzh3dSsxDJQjgTynlnNxkds6rPagncGJEamNXKY5xzA5t02QmB4/s400/couple.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
</div>
<div class="MsoNoSpacing">
</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Anche se il meteo non sembra essersi ancora allineato, a
Milano è scoppiata la primavera: l’ormone è in circolo come i pollini, per la
gioia di romantici e allergici. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Coppie di adolescenti e di ex adolescenti si tirano
limoni hollywoodiani alla fermata del tram. Stamattina a Lambrate ce n’erano
due che letteralmente si mangiavano la faccia. E io non riuscivo a smettere di
guardarli, inebriata dal mix di imbarazzo e curiosità. Se continuo così mi arresteranno
per stalking, lo so.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
È che mi sento un po’ sola… Non ho l’energia né l’entusiasmo
per innamorarmi, ma fare la Bridget Jones di turno per l’intera estate è un
bell’impegno… La soluzione sarebbe trovare un uscente: qualcuno che mi aiuti a
finire la vaschetta di gelato mentre ci guardiamo la nostra serie TV preferita (ovviamente
uno che condivide i miei gusti, pistacchio&drama), qualcuno che “mi offra coni
e limonate” come recita una canzonetta che sembra scritta di mio pugno, e che
invece risale all’epoca dei musicarelli, quando Morandi andava militare. Vorrei
qualcuno che mi quando mi accompagna a casa aspetti che sparisca dietro al
portone prima di sgommare via. Qualcuno a cui chiedere “ti va di salire?”,
quando va anche a me. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Potrei organizzare un casting… Chissà chi si
presenterebbe? Potrei dare delle indicazioni di massima, tipo… prego astenersi:</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<span style="font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt;">
</span></span>Uomini troppo (o troppo poco) depilati.</div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<span style="font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt;">
</span></span>Uomini con lo chignon (come sopra, questo non è
il casting di Uomini e Donne).</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<span style="font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt;">
</span></span>Uomini che indossano spavaldi i pantaloni della
tuta. I pantaloni di maglia non sono trendy. Non lo sono mai stati, per quale
motivo dovrebbero diventarli? No, accostarli alla camicia non li sdogana. Ma
dove l’imparate lo stile voi? Dai video di Zumba fitness? Scusate, mi sono
lasciata prendere.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<span style="font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt;">
</span></span>Il supertifoso, che in un estate di europei di
calcio e olimpiadi è già parecchio impegnato.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<span style="font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt;">
</span></span>Gente col nome d’arte. Se diventiamo intimi come
ti chiamo? Il nome di battesimo lo usa solo tua mamma, il nomignolo è destinato
ai fan… <i>Gattino?</i> Ma come stai messo?</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<span style="font-family: Symbol;">·<span style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 7pt;">
</span></span>Il radical-chic, che storce il naso davanti alle
mie scelte cinematografiche. O musicali. O culinarie. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt;">
A volte ho bisogno di comprare
un kebab completo pieno di tutto e mangiarlo spalmata sul divano davanti a “Abiti
da sposa a Beverly Hills”. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
Oppure potrei tenermi gelato e divano tutto per me, e continuare a fantasticare
sul principe azzurro. Facendo finta di non accorgermi che è gay. </div>
<div class="MsoNoSpacing" style="margin-left: 36.0pt;">
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
</div>Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-88069029736358154142012-03-30T08:14:00.000-07:002012-03-30T08:14:10.408-07:00Ladri di biciclette<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyXjjoQVe6rl4F9oXeh7S4apVIP1fEXz0aue-V8HhxczLRF0ruHQidn-haR0UV64yV-r4ZavjEUvn-gfCUhw4xCwqON92sH9fVZ-o-nIqEtBHR7jp5f4hp5g5SNdtvfXpN6wN9ZMsMNak/s1600/duomo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyXjjoQVe6rl4F9oXeh7S4apVIP1fEXz0aue-V8HhxczLRF0ruHQidn-haR0UV64yV-r4ZavjEUvn-gfCUhw4xCwqON92sH9fVZ-o-nIqEtBHR7jp5f4hp5g5SNdtvfXpN6wN9ZMsMNak/s320/duomo.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Riemergo dalla fermata della metro facendo ciondolare le
chiavi; è uno splendido pomeriggio di inizio primavera, e dopo 20 minuti
trascorsi sottoterra non vedo l’ora di pedalare fino a casa.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ci metto un istante più del necessario a individuare la
mia bicicletta, e questo perché risulta quasi interamente nascosta da una
persona che vi si è accovacciata davanti.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Senza accelerare il passo, accorcio la distanza tra me e
quella schiena che mi sembra indaffarata a armeggiare con il mio lucchetto. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
“Posso aiutarla?” mi sento chiedere, con la dolcezza di
qualcuno che muore dalla voglia di compiere la buona azione quotidiana. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Vedo la schiena irrigidirsi, come in una preda che annusa
la minaccia; negli interminabili secondi in cui il corpo si gira verso di me,
il viso cerca di simulare un’espressione sorpresa:</div>
<div class="MsoNoSpacing">
“È sua questa bicicletta? Perché l’ho vista cadere e
stavo cercando di assicurarla alla ringhiera...”</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Nel frattempo la mia nuova conoscenza si è alzata, e con aria di scuse, cerca di
scartarmi di lato; io mi faccio più vicina, incastrandolo fra me e il muretto. Presa in contropiede dalla mia lucidità, decido di stare
al gioco: “Grazie, ma non era necessario...” e poi, afferrandogli il gomito e
avvicinando la faccia alla sua sibilo: “...e se lei si avvicina di nuovo alla
mia bicicletta, mi toccherà denunciarla”.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Annuisce, smascherato nelle sue cattive intenzioni, e mi
sembra pure di indovinare del rimorso nello sguardo che abbassa immediatamente
mentre si allontana con le mani in tasca. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Non ho redento nessuno, sia chiaro, ma sono sollevata
al’idea che oggi non sia toccato a me tornare a casa a piedi.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ecco cosa può succedere in un affollato angolo di Milano,
tracciato dalle persone che lo attraversano veloci come le palline in un
flipper. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ecco cosa mi è passato davanti agli occhi qualche giorno
fa, quando arrivata alla fermata ho realizzato che la mia bici non era più lì
ad aspettarmi.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ecco cosa avrei voluto raccontare, invece che sospirare un
laconico “mi hanno fatto la bici in Porta Genova”. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Perché una storia così ti
lascia sperare che non ci sia sempre un unico finale. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ecco cosa è invece successo: che una giovane donna
emancipata, davanti a una scorrettezza così immeritata, scoppi in lacrime e
senta il bisogno di abbracciare la mamma, come quando alle elementari si
sbucciava le ginocchia giocando in cortile. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Un'immagine sicuramente meno valorosa, però anche più
vicina alla realtà.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
E forse la parte più difficile da digerire è la beffa che segue il danno:
perché ti ritrovi sconfitto, ingiustamente privato di qualcosa che non solo ti
apparteneva, ma che consideravi di vitale importanza, e tutte le persone con
cui ti sfoghi ti mettono davanti alla tua parte di responsabilità; perché se
hai parcheggiato per 2 giorni di seguito nello stesso posto, se non ti sei
procurato una catena che vale più della bici, se hai scelto una bici che,
magari non è il top della gamma, ma che comunque si piazza bene sui mercatini
delle pulci, perché è sottile, leggera, veloce, viola/grigia e coi cambi sulla
canna (una bici che il wannabe hipster si sogna di notte nella versione a
scatto fisso) beh, allora dai, te la sei andata a cercare...</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Il mio karma deve darmi una tregua, nel frattempo sopporterò l'umiliazione di girare con una bici che non è mai stata di moda, sperando che almeno questa non faccia gola a nessuno. </div>Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-37802267681234948312012-03-15T07:05:00.000-07:002012-03-15T07:05:12.376-07:00Ignorance is bliss<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGhSWuN6l5G6F7tgnRcoKWhd3MVsjDQpmDCwF9fS199phfpYxPo0eoq_ql96UK8NGs4sah5mDnuGU5sGOm-YsU873IR7sa-nVWE1IF11EjS4fml3Lm5_hIPywQ7uFcroJU9wpctB9RCqE/s1600/bliss.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img aea="true" border="0" height="220" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGhSWuN6l5G6F7tgnRcoKWhd3MVsjDQpmDCwF9fS199phfpYxPo0eoq_ql96UK8NGs4sah5mDnuGU5sGOm-YsU873IR7sa-nVWE1IF11EjS4fml3Lm5_hIPywQ7uFcroJU9wpctB9RCqE/s320/bliss.jpg" width="320" /></a></div>
Questa è la storia di come, senza quasi rendermene conto, ero di nuovo una pendolare. <br />
In che modo fossi ritornata a rimbalzare come la pallina di un flipper tra le stazioni di Rovato e Lambrate a me poteva essere sfuggito, ma tutti quelli intorno a me avevano notato un mio repentino imbruttimento.<br /><br />Ma questa è una storia a lieto fine: sono bastate quattro settimane di fegato spappolato dal prendere freddo e rabbia su banchine deserte a farmi decidere di investire uno stipendio ancora tutto da guadagnare nell’affitto di una stanza in quel di Milano. <br />
<br />
Passare tre ore al giorno col culo su un sedile non è impresa da poco ma ci si fa il callo, come a qualsiasi cosa: l’essere umano ha un istinto di sopravvivenza e una capacità di adattamento che sconfinano nel soprannaturale. <br />
<br />
Ma uno non può passare tutto il viaggio a guardare fuori dal finestrino: sulla tratta Milano-Venezia non ci sono né i panorami né i compagni di bridge dell’Orient Express. <br />
Rispetto agli automobilisti almeno, chi viaggia in treno può ammazzare il tempo intrattenendosi in diversificate attività.<br />
Se viaggio la mattina io di solito riprendo da dove sono stata interrotta dalla sveglia, anzi da un attimo prima: dopo un sonnellino ristoratore, mi servo la seconda colazione e solo allora comincio a portarmi avanti con il lavoro; se invece voglio svagarmi mi dedico a un romanzo o a un podcast. <br />
<br />
Tutte attività ostacolate dalla logorrea sdoganata dalle tariffe flat dei cellulari. <br />Come riuscire a concentrarti su un libro se la persona seduta a 30 centimetri da te, preoccupata per la salute intestinale del suo bimbo, telefona a tutte le mamme dei compagni di classe del figlio per raccogliere dettagliate informazioni sulle deiezioni dei bambini (l’ha fatta? Quante volte? <em>Di che colore era?</em>). <br />
<br />
Forse l’unica cosa a cui non ci si abitua facilmente sono proprio i compagni di viaggio…<br />
<br />
Una mattina di quelle polari del mese scorso, in cui i treni risentivano ancora degli strascichi dei ritardi causati dal maltempo, ho viaggiato per 70 minuti (e 70 chilometri) nello spazio tra le porte e il bagno. Eravamo almeno una decina a dividerci quattro scricchiolanti metri quadri. Come in un ascensore. In caduta libera, a giudicare dalle sbandate.<br />
<br />
Io, in equilibrio precario con una maniglia fra le costole e la borsa fra le ginocchia, cercavo di leggere, consapevole che alle 9.18 di un lunedì mattina avevo già esaurito le scorte di pazienza per la settimana.<br />
<br />
Ma poi, due stazioni dopo la mia, è salita lei. E la mia giornata ha acquistato un senso.<br />
<br />
Un paio di leggings bianchi, portati con disinvoltura sotto a un piumino corto, una stuccata di fondotinta e i capelli torturati dalla piastra erano già un bel biglietto da visita. Ma poi questa dea ha aperto bocca, dando il via a un escalation di puttanate interrotta solo dal termine corsa del treno.<br />
<br />
A quanto pare, <em>princess</em> quella mattina non aveva nessuna intenzione di andare a scuola: trascinata per l’orecchio dalla madre fino al portone, l’aveva trovato chiuso causa maltempo; aveva allora deciso di fare un giro di shopping a Milano, scortata da due ancelle. Immaginatevi questo resoconto condito da bestemmie così colorite da far impallidire un muratore bergamasco.<br />
<br />
Le dame di compagnia si interessano allora al suo fine settimana: <em>princess</em> è stata in discoteca, come tutti i fine settimana, d’altronde. <br />
<br />
Guardavo questa ragazzina e provavo una certa inquietudine: quando io avevo 16 anni il massimo della trasgressione era leggere libri come <em>Trainspotting</em>, mentre per lei vivere come uno dei protagonisti è la normalità. <br />
<br />
Ognuno è libero di essere adolescente, per carità. Non so quanti di noi, se potessimo tornare indietro ci riproverebbero, ma è in quegli anni che si impara tutto. Forse per questo stonava la sicurezza con cui questa ex bambina si improvvisava tuttologa. <br />
Perle ai porci, era un peccato non raccoglierle! <br />
<br />
Di seguito, per accuratezza filologica, riporterò alcune delle citazioni che mi appuntavo integralmente sul cellulare fingendo di comporre un lunghissimo sms. Lo so, non sarà eticamente inappuntabile prendermela con un soggetto problematico, ma pur di non morire di noia questo e altro!<br />
<br />
<strong>MUSICA:</strong> “A me piace la techno. Ti entra nel cervello”<br />
(O fa eco nella scatola cranica, come succede a te)<br />
<br />
<strong>MODA:</strong> (dando consigli sull’outfit adatto a una festa) “Io mi metterei le Hogan. O i tacchi” <br />
(Ottimo. Perché non direttamente le Hogan con i tacchi? Quintessenza dell’eleganza)<br />
<br />
<strong>PROSPETTIVE PER IL FUTURO:</strong> “… Poi sabato sono salita sul palco con la vocalist a fare bordello. Lei fa cagare, è brutta ma è famosa: fa un cifro di serate a Alessandria e altri posti strani. <br />
Ci sta fare la vocalist: bevi una cifra, ti fanno le foto, sei sempre al centro dell’attenzione, di giorno non fai un cazzo … L’unica menata è se ti viene il mal di gola…”<br />
(Ineccepibile)<br />
<br />
<strong>DRINK:</strong> “Il fragolino ci sta una cifra”<br />
(Eccepibile. Però alla tua età pensavo che la Keglevich alla menta fosse il non plus ultra.)<br />
<br />
Io non sono Esopo, e questa non era proprio una favola, ma una morale si può comunque trarre:<br />
L’ignoranza altrui è affascinante, e può costituire materia di intrattenimento.<br />
L’ignoranza propria invece, a giudicare dalla frequenza con cui <em>princess</em> pronunciava “strabello” è un buon vaccino contro l’asprezza della realtà. <br />
<br />
Peccato che, se stiamo a ascoltare Socrate, il riconoscere la propria ignoranza sia di per sé sintomo di saggezza… <br />
Siamo proprio destinati alla delusione. <br />
<br />
<br />Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2399062187356341643.post-65034185545711086202012-02-18T07:31:00.000-08:002012-02-18T07:31:14.797-08:00Cacio e pepe<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj1sj_2Jkuij4dggJCf804_-HkX5yAqNFPUh0A6hsoYHZ_Ub9xanNPLl076sgLgb35bBMyUtAY_9MbtvV_Pn7g4byJX5X2xhotZW5F8iFXR6NR86qSUi0NL3s0djLsAGeY-Z-NV_Abs4JA/s1600/famous+lunch.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj1sj_2Jkuij4dggJCf804_-HkX5yAqNFPUh0A6hsoYHZ_Ub9xanNPLl076sgLgb35bBMyUtAY_9MbtvV_Pn7g4byJX5X2xhotZW5F8iFXR6NR86qSUi0NL3s0djLsAGeY-Z-NV_Abs4JA/s320/famous+lunch.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
Ho ricominciato a andare a Milano tutti i giorni. Lo so,
le cattive abitudini sono dure a morire.</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
E ogni giorno si ripresenta l’annoso problema della pausa
pranzo.</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
Un giorno sono andata da Mac Donald’s, a assaggiare un hamburger
con la mozzarella: non è stato il pranzo più indimenticabile della mia vita, ma
le aspettative erano abbastanza basse.</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
Ieri invece, per interrompere una dieta di preziosissime pizze
e focacce (a giudicare dai prezzi), ho deciso di regalarmi una mezz’ora seduta
e di gustarmi un pasto caldo.</div>
<br />
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: left;">
Solo che non è stato facile come sembrava…</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Scelgo un baretto molto frequentato e, per non rubare il
posto agli aficionados, chiedo al barista dove posso sedermi: questo scrolla le
spalle e mi dice “siediti”. Eseguo l’ordine e vengo subito assalita da un cameriere
che ha fatto della simpatia forzata il marchio di fabbrica. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
Ordino un piatto di pasta, e appena il gioviale personaggio
si allontana, dopo aver pronunciato “ottima scelta!”, mi rendo conto di aver
commesso un errore: ho ordinato della pasta in un locale senza cucina.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Tempo due minuti mi viene scaraventato sul tavolo, senza
tante cerimonie, un piatto con dentro una bestemmia: una dozzina di penne (non
rigate!) scotte, riscaldate al microonde e di nuovo raffreddate, secche e appiccicaticce,
tenute insieme dal formaggio e naviganti in un dito d’olio.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Premessa necessaria: io mangio di tutto e di gusto, ma
non mi piace essere presa per il culo. E io con questa pasta ce l'ho messa tutta, ma
non sono riuscita a finirla.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Mi è montata dentro una rabbia che sono riuscita a
sopprimere solo raccontando il mio disagio alla prima persona che mi è capitata
a tiro: se non avessi avuto l’ardire di lamentarmi con il proprietario del bar,
quella pasta mi sarebbe rimasta sullo stomaco.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Trovandomi nei panni della cagacazzo, ci sono andata cauta,
esordendo con un mea culpa “forse ho sbagliato io a ordinare, dato che non
avete la cucina…” prima dell’affondo “... ma voi non potete presentare una pasta
così!”. Sono passata quindi alla descrizione di tutto quello che c’era di
sbagliato in quel piatto, concludendo con un consiglio non richiesto “insomma,
se la pasta non potete cucinarla, non mettetela sul menù”.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
In tutta risposta, mi sono sciroppata un’accurata analisi
costi/benefici: a quanto pare, gli affari danno ragione all’oste e i numeri
parlano chiaro se, a fronte di una persona insoddisfatta del servizio (la
sottoscritta), lui sfama le restanti 120/150 persone che ogni giorno si
accalcano nel suo locale. Sarà. E soprattutto, devo tenere ben presente che “la
pasta la faccio pagare solo 5 euro, non 15”. <i>Egraziealcazzo</i>, mi sono trattenuta dal ribattere. </div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Io non voglio insegnare il mestiere a nessuno, ma come si
fa a sbagliare così clamorosamente una pasta che non ha nemmeno il sugo? Non ti
ho chiesto un aspic di aragosta accompagnato da spumiglie di foie gras. Un
piatto di pasta, <i>perdio</i>! Per lo stesso motivo, non vedo perché devi
farmi credere che stai facendo volontariato, della serie “sfamare gli affamati”,
quando invece con i 5 euro miei fai la spesa per 3 chili di pasta cacio e pepe.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
E lì ho capito due cose: che un arredamento di gusto non
è garanzia di buona cucina. E che i milanesi probabilmente si nutrono di design.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Quando ho lavorato come cameriera, parte del mio lavoro
era assicurarmi che i clienti fossero soddisfatti; anche se chiedere a un
tedesco se si era trovato bene in un ristorante italiano era retorico, lo
facevo comunque, e quando mi rispondeva “buonissimo!” mi inorgoglivo tutta,
manco fossi stata io a spadellare ai fornelli.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
Invece in questo caso una critica è servita solo a
insospettire il mio interlocutore, che mi ha fatto comunque pagare la pasta che
non ho mangiato, offrendomi un caffè per seppellire l’ascia di guerra.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
Potevo pagare, uscire di lì incattivita e sputtanarlo, e
invece ho voluto essere trasparente, segnalare la mia insoddisfazione, uscire a
cuor leggero e sputtanarlo.</div>
<div class="MsoNoSpacing">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing">
La vita è troppo breve per mangiare cibo scadente. </div>Clodhttp://www.blogger.com/profile/08362041277014431029noreply@blogger.com0