Friday 16 October 2009

Lo zen e l'arte del babysitteraggio

Fermo immagine: un bimbo di quattro mesi se ne sta beato a pancia in su, su un materasso appoggiato sul pavimento del salotto, muove la gambette grassoccie per aria e sorride ignaro al fratello di 3 anni più grande che, salito in piedi sul divano, sta prendendo le misure per inchiodarlo al suolo come in un incontro di wrestling.
Questa scena si svolge sotto gli occhi di altre due persone presenti nella stanza: Noah, il terzo componente della nidiata, che dall’alto dei suoi 2 anni quasi compiuti vorrebbe gettarsi nella mischia, e la babysitter che riesce a immobilizzarla nel tentativo di infilarle una maglietta.

La babysitter sono io. E non ho tempo di pensare prima di agire.
Recupero Ariel in volo prima dello slam down e cerco di spiegargli che Nathan è ancora troppo piccolo per qualsiasi tipo di arte marziale.

Cosa ci fa un bebè da solo su un materasso? Cosa ci fa un materasso in salotto? Dov’è la mamma di tutte e 3 le creature? Cosa c’entro io con tutto questo?
Mentre faccio mente locale, la mamma arriva, tazza di tè fumante in mano, si appoggia allo stipite della porta, sorride alla vista del simpatico quadretto e mi dice, riferendosi al materasso “questo sarà il gioco dell’inverno, non vedi come si divertono?” ...Avessi visto come mi divertivo io, 30 secondi fa…

Avete mai lavorato con i bambini? Che espressione curiosa… i bambini, beati loro, non sono ancora tenuti a lavorare… il problema è che sono svegli almeno 12 ore al giorno e se un adulto viene pagato per passare del tempo con loro è tenuto essenzialmente a preservarne l’incolumità. Perché i bambini sono esseri indifesi che provano particolare attrazione per le missioni suicide.

La situazione che si viene a creare è questa: il datore di lavoro, solitamente il genitore, illustra alla babysitter quali saranno i suoi compiti e, con l’obiettivo di terrorizzarla, comincia a descriverle una serie di scenari agghiaccianti: incidenti domestici e non di cui il bambino è inconsapevole causa e innocente vittima. Se la babysitter risulta difficilmente impressionabile e accetta la sfida, con le congratulazioni dell’ufficio del personale, viene portata alla presenza del boss, aka “il minore”.
Inizia così un gioco perverso in cui il bambino si impegna a portare l’adulto cui è stato affidato sull’orlo dell’esaurimento nervoso mentre la babysitter si rifiuta di credere di essere comandata a bacchetta da una persona che è più nuova della sua t-shirt preferita.
Provate a inseguire un bambino che corre nudo per casa brandendo i suoi vestiti senza potere intimargli l’alt né legarlo al letto. Perché i bambini di oggi, a quanto pare, sono molto più indipendenti di quanto fossimo noi una ventina di anni fa, e non accettano né consigli né tanto meno ordini. Mai. Ci sono giornate in cui Noah, che ha un vocabolario di 15 parole ma sa come farsi capire, riduce la nostra conversazione a una serie infinita di variazioni di “no”. Qualsiasi cosa io dica, lei risponde “no” o “nein”, in un infinita gamma di modulazioni e tonalità che toccano gli ultrasuoni quando è parecchio scocciata dalle mie assillanti richieste…
Ci vuole pazienza, una scorta inesauribile di pazienza.
Perché stare dietro a due bambini, quando sei una persona normodotata che dispone solo di un paio di occhi, un set di orecchie e due mani con pollice opponibile, è un bello sport. Uno sport estremo.
Quanto vorrei avere un telecomando e metterli in pausa, ogni tanto, o, quando si mette proprio male, puntarmelo addosso e spegnermi. Vi faccio un esempio:



Quello della babysitter è il lavoro più difficile che esista, o almeno il più difficile che io abbia provato. Perché, volente o nolente, al tuo boss ti ci affezioni, trasgredendo la regola aurea che, in cambio di relativa tranquillità, impone di non mischiare mai affari e affetti.

Stare con i bambini può essere anche piacevole: se ne avete l’occasione, osservate un bambino giocare… E pensate che anche voi, ai tempi dell’asilo eravate così: sveglissimi, con una mente brillante, un’immaginazione sconfinata e fortissime passioni. Dopo anni di logorio, qualcosa di questo bagaglio è rimasto?