Friday 10 June 2011

Ich liebe meine Mutti


Oggi è il compleanno di mia mamma. Mia mamma si chiama Maria, detta LaMery, con tanto di articolo perché, come dicono a Roma “è un taijo!”, e si merita un nomignolo.

È l’ennesimo compleanno che ci vede separate, e non è un dramma, dato che in realtà non l’abbiamo mai festeggiato come vuole la tradizione, con la torta, i fiori, il regalo… Non è che sono una stronza insensibile: semplicemente è così che vanno le cose quando cresci in una famiglia che non ha mai dato grossa importanza alle ricorrenze.

Per esempio, quando io e mia sorella, verso la fine delle elementari, siamo state messe davanti alla dura realtà e alla conseguente inverosimiglianza di una santa che passasse a portare i doni a noi e a tutti i bambini di Brescia, Bergamo e Verona nella notte tra il 12 e il 13 dicembre, abbiamo automaticamente smesso di ricevere regali, almeno in forma tradizionale.

Abbiamo provato a protestare, adducendo come prova schiacciante l’esempio dei nostri compagni di classe che venivano ricompensati ogni volta che a scuola prendevano un bel voto o quando a cena mangiavano le verdure senza farsi implorare.

Ma nulla da fare, LaMery non ha mai fatto una piega:

“Per il compleanno vi ho pagato il corso di nuoto”
“Il compleanno di chi?”
“Il vostro”
“Ma tra il mio compleanno e quello di Luisa ci passano 6 mesi!”

“Hai preso ottimo nella verifica di scienze sociali? Brava. Ti sei proprio meritata il pacco di mutande nuove che ti ho messo nel cassetto”

“Quest’anno non chiedetemi niente che vi abbiamo messo l’apparecchio. A tutte e due”
(sai che gioia, quasi più che uscire di casa nelle gelide sere d’inverno per andare in piscina)

In realtà, anche quando ho iniziato ad avere liquidità, per quanto piccola, non ho provato a invertire la tendenza: il problema è sempre stato trovare un regalo che potesse essere apprezzato da una persona che ha lo stesso attaccamento alla sfera materiale di una suora di clausura.

Mia mamma è più da biglietto che da pacchetto, e apprezza un oggetto regalato solo sulla scala dell’utilità: nel suo microcosmo ci sono le cose che le servono e un sacco di tàter (bergamasco per cianfrusaglie) che occupano solo spazio.

Le poche volte che le ho chiesto se desiderasse qualcosa di regalo (a mia mamma è estraneo pure il concetto di sorpresa, quindi tanto vale andare sul sicuro) mi ha risposto: “il regalo più grande che puoi farmi è essere felice. E fare la brava”.
Non so se le due cose vanno a braccetto, ma ogni giorno cerco di tener fede a questo proposito. E spesso ce la faccio senza impegnarmi nemmeno tanto.
Bastava dirlo, mamma!

Comunque oggi le ho telefonato per farle gli auguri e lei non ha perso occasione per ricordarmi che alla mia età lei era già sposata da un paio di mesi e stava per mettermi in cantiere. Poi, con nonchalance mi ha chiesto se avessi deciso cosa fare nella vita. Così, come se mi stesse chiedendo cosa avessi mangiato la sera prima.
Me lo chiede sempre, e penso che quando avrò un qualsiasi tipo di risposta pronta la terrò per me per evitare di sentire un tonfo dall’altra parte del filo.

Rispondo “macché”, per risparmiarle un principio d’infarto, e penso alla pazienza infinita e all’amore incondizionato che mi dimostra ogni giorno che passa.
Perché dire: “non so dove sarei, se non fosse per mia mamma” non è retorica, è la consapevolezza che se non fosse per lei, io non sarei nemmeno qui a tesserne le lodi; è lei che mi ha messa al mondo, mi ha cresciuta e da quando ho dimostrato un livello sufficiente di indipendenza mi ha sempre lasciata libera di fare tutto quello che mi passava per la testa, senza darmi consigli non richiesti, senza cercare di farmi rinsavire e senza giudicarmi. Mai.
E con mai intendo fin dall’inizio, non solo da quando ha capito che ormai farmi ragionare era partita persa.

Mia mamma è come il suggeritore a teatro: se ne sta nella buca, quasi impaurita a salire sul palco della mia vita, ma è solo grazie alle sue imbeccate che io ho il coraggio di recitarla, questa commedia.

Mia mamma è Mickey quando io voglio fare Rocky: mi tampona le ferite quando torno all’angolo ridotta a una zampogna, e ogni volta che serve mi fa un’iniezione di autostima. Se me lo dice lei, mi convinco di potercela fare. In ogni situazione. Con lei intorno al ring posso stendere tutti gli Ivan Drago che vogliono spiezzarmi in due.

Chissà cosa pensava LaMery mentre mi vedeva crescere… Non so se avesse piani su di me, ma si sarà sicuramente chiesta se i tratti del mio carattere che si andavano definendo rivelavano quello che avrei potuto fare o diventare da grande.
E poi come me, si è lasciata sedurre dall’effetto sorpresa provocato dai repentini cambi di rotta che brucianti passioni quasi quotidiane hanno sempre imposto sulla mia vita.
Magari lo sa, quello che avrei potuto, o dovuto fare. Ma non me l’ha mai suggerito. E io continuo a fare quello che avrei voluto fare.

Non so se avrò mai successo nella vita, e non il successo come si è finiti a definirlo, tutto fama e soldi, ma se mai riuscirò a realizzare uno dei miei sogni, dedicherò tutta l’euforia alla persona che me l’ha permesso.

Non sarà scenografico come ricevere un Oscar, scoppiare in lacrime sugli scrosci degli applausi, raggiungere il microfono tirandosi dietro metri di seta trasformati in un Valentino vintage, e iniziare il discorso con “I would like to thank my mum…”, ma penso che LaMery lo apprezzerà comunque.