Tuesday 15 January 2013

Cannoli a casa Canella


La prima cosa che io noto nella foto è il piatto di cannoli siciliani che troneggia a centrotavola: sarà che ho una passione smisurata per il cibo e che fotografo più i piatti che i paesaggi, ma questi spiccano come cannoli da competizione anche allo sguardo di occhi inesperti. C’è una manina paffuta che con fare esplorativo si avvicina a uno di quei mostri di cialda, ricotta e canditi, e quella manina si accompagna a un musetto furbo, quello di Viola, che con i suoi tre anni e mezzo ha ben chiaro quali sono le priorità della vita e non dedica la sua attenzione alla lucina lampeggiante dell’autoscatto bensì approfitta dei dieci secondi di immobilità dei genitori per sferrare l’attacco indisturbata.

Siamo a casa di Paola e Alessio e ci stiamo concedendo l’ultimo pranzo della lunga parentesi natalizia, come testimoniano le decorazioni appese dietro di noi. La tavola coperta dalla benaugurante tovaglia rossa è già stata sparecchiata, e le tazzine in un angolo aspettano pazienti che il caffè sul fuoco cominci a gorgogliare. Noi siamo seduti tutti schierati dietro al tavolo, e guardiamo fissi l’obiettivo. Sono stata io ad insistere per avere una foto ricordo e ad attirarmi le lamentele di quelli che non avevano nessuna intenzione di alzarsi, spostare sedie e rientrare nell’inquadratura.

Io sono quella con gli occhi chiusi, l’ultima a destra. Chiudo sempre gli occhi in contemporanea con l’obiettivo e compenso  sorridendo troppo, di quel sorriso innaturale che mi fa allungare il collo come uno struzzo. Per una volta però ho almeno i capelli a posto. Vicino a me c’è Petra, che sembra sempre un’adolescente scappata dalle superiori, con quel viso pulito e lo sguardo timido. Se non la conosci, non puoi lontanamente immaginare di cosa sia capace quella donna, cresciuta affrontando imprese quali dieci mesi di volontariato in un orfanotrofio nella zona più povera dell’India. Al centro della foto ci sono Sara e Andrea, una coppia armonica come yin e yang: lei dai tratti nobili e dai modi rarefatti di una principessa eritrea, lui un concentrato di spontaneità contenuto a fatica dall’aspetto scandinavo e l’eleganza preppy delle polo che lo sollevano dalla settimana in giacca e cravatta. La metà sinistra dell’allegro quadretto è occupata dai padroni di casa, la mia personale visione dalla sacra famiglia o, in versione più pop, della famiglia cuore con cui giocavo a immaginarmi un futuro alle elementari.

Abbiamo tutti un bel colorito, e un’espressione beata. Questa fotografia è recentissima, ma ogni volta che la rivedrò, emergeranno i dettagli di quella pigra domenica pomeriggio: le scarpe abbandonate all’ingresso e il bottone dei pantaloni slacciato, la perfezione dei cannoli riempiti sul momento, i cartoni della Pimpa alla TV a volume impercettibile che rimbalzano su un divano vuoto e la luce del tramonto che entra obliqua dalla porta finestra del terrazzo e si riflette sulle palline dell’albero di Natale.
E c’è un indizio che solo noi presenti possiamo cogliere: alle nostre spalle, in mezzo ai disegni di Viola attaccati alla porta c’è un foglietto su cui Paola ha scritto col pennarello verde SCUSATEMI. Era lì ad accoglierci quando io e Petra abbiamo suonato il campanello, e l’avevo immediatamente associato all’odore di bruciato che pervadeva il pianerottolo: “Cos’hai combinato, hai dimenticato la torta in forno?” ho detto a Paola, non appena ci ha aperto; lei ha negato sorridendo e io non ho indagato oltre, finché, dopo cinque minuti buoni di convenevoli mi sono accorta della rotondità che annunciava l’arrivo di un secondo bambino. In effetti qualcosa in forno c’era…
Un foglietto appeso alla porta: così Paola ha scelto di giustificare l’attesa nel comunicarci la dolce attesa. “Le notizie così, non si danno per telefono!”, ha aggiunto, e non potevo essere più d’accordo.

Io, Paola, Petra e Sara ci conosciamo da più di dieci anni: ci siamo trovate in università e non ci siamo più lasciate. Per un gioco del destino, per entrambe le coppie della fotografia galeotto è stato il treno a bordo del quale le loro esperienze da pendolari si sono incrociate. Io e Petra ci lamentiamo sempre della nostra scarsa fortuna, nonostante anni di militanza sui mezzi pubblici.

Sara e Andrea ai bambini ancora non ci pensano, anche se i futuri nonni ormai li hanno chiesti ufficialmente come regalo per il prossimo Natale. Sara è la nostra donna in carriera: è una miniera di consigli professionali, ed è lo sguardo lucido che mi manca quando vengo sopraffatta dall’emotività. L’ultima volta che l’ho messa al corrente delle mie disavventure lavorative ad esempio, sono stata io a dover frenare la sua indignazione, e non viceversa. Petra invece è imprevedibile, e coraggiosa: potrebbe decidere di trasferirsi dall’altra parte del mondo nel giro di una settimana senza fare una piega.    
E quando mi sono imbattuta in questa frase “perché è questo il segreto dei matrimoni riusciti: non smettere di essere stregati ognuno dall’esotismo dell’altro”, l’esempio  di Paola e Alessio ha finalmente trovato una definizione; Alessio è alto e riflessivo, e ispira protezione, mentre Paola è eterea come un folletto, corredata di lentiggini e riccioli rossi e saltella sul mondo avvolta da un’aura di energia positiva a cui è impossibile sottrarsi. Lui è cresciuto in una Taormina inondata di sole e lei sul tetto di una delle valli bergamasche, e quello che hanno fatto insieme è un capolavoro di diplomazia: una bambina che riassume in sé l’edonismo siculo e il pragmatismo lombardo.

E adesso la famiglia si allarga. La nostra famiglia si allarga.

Quando avevo otto anni, la Barbie reaganiana con i capelli corti di un marrone inoffensivo e la gonna al ginocchio, Ken con le bretelle e i mocassini bianchi e i due gemelli cloni dei genitori erano il mio ideale di famiglia perfetta; con il passare degli anni ho capito che nessuna famiglia è perfetta, ma che una famiglia della tua misura te la puoi sempre scegliere.
Io ho scelto le persone con cui prendevo interminabili caffè invece che andare a lezione, con cui preparavo gli esami promettendo che avremo seguito di più i corsi, con cui organizzavo serate e vacanze. Ho scelto loro e la vita che si portano appresso, e loro hanno fatto lo stesso con me. Senza selezione all’ingresso.
Queste persone mi hanno cresciuta: sono loro gli abbracci che cerco quando piango per il cuore spezzato, un sogno infranto o un progetto interrotto sul nascere. Sono loro che abbraccio per congratularmi quando mi annunciano traguardi o per rassicurarle di fronte alle difficoltà. 

L’epoca dell’università è ormai consegnata all’album dei ricordi, e le nostre vite hanno preso binari diversi, ma voglio stamparla, questa foto, e nasconderla in un libro noioso che non presterò… Voglio prepararmi una sorpresa per quando in un futuro imprecisato, facendo ordine sugli scaffali quest’immagine mi scivolerà ai piedi, e mi strapperà un sorriso.