Sunday 6 November 2011

Indian Summer


È il 6 di novembre, e sono seduta sul lungofiume.
Mi sono ampiamente rimproverata di essere uscita di casa senza macchina fotografica. È una di quelle giornate con la luce orizzontale, che disegna ombre lunghissime e fa brillare l’acqua del fiume, i vetri delle finestre e i sorrisi.

È la domenica di una settimana di transizione che mi ha regalato piccoli momenti di umanità.

Come quando martedì sono andata a cancellare il canone della TV e l’impiegata, venuta a sapere che sto per lasciare Francoforte, mi ha confessato che rimpiange ancora di non essere andata negli Stati Uniti quando da studente ne aveva avuto la possibilità, e poi, stringendomi la mano e guardandomi negli occhi, mi ha augurato buona fortuna. Credendoci davvero.

Come quando mercoledì sera il padrone del ristorante per cui ho lavorato ha offerto una pizza a me e ai miei due amici, siglando il tutto con una stretta di mano e la dichiarazione “Claudia è la cameriera più brava che abbia mai lavorato qui”. Ero andata a trovarlo sperando avesse racimolato i soldi che tuttora mi deve. Ma questa è un’altra storia…

Come quando giovedì ho postato su facebook che la mia stanza sarà disponibile da fine mese, cercando un amico-di-amici senzatetto che mi risparmi il casting di perfetti sconosciuti, e il mio coinquilino mi ha chiesto (per iscritto, su facebook) di riconsiderare Francoforte, e che, nel caso avessi già deciso, gli sarei mancata.

Come quando venerdì sono andata a ritirare il certificato del corso che tanto mi ha fatto penare nelle ultime quattro settimane, e ho celebrato l’averlo passato con un caffè e un muffin al bar che mi ha rifornito di massicce dosi di caffeina per tutto il mese, sponsorizzando così le mie imprese accademiche. Il barista ha trasformato il più economico dei caffè in un cappuccino senza trasformarne il prezzo. E mi ha pure messo due timbri sulla tessera fedeltà. Alla faccia tua, Starbucks!

Come quando ieri sera (o era stamattina?) sulla strada di casa con tre amici alla spasmodica ricerca di un “felafel della buonanotte”, siamo incappati in un gruppo di spagnoli bloccati su un’isola spartitraffico come su una zattera in mezzo al mare tempesta. È bastato dargli il nome di un club ancora aperto, indicazioni su come raggiungerlo e un po’ d’erba da fumare nel tragitto, per capire come deve sentirsi Babbo Natale la mattina del 25.

Vivo nel favoloso mondo di Amélie, o almeno in un remake in salsa krautrock. Speriamo non sia un porno.

Ho deciso di lasciare Francoforte. E la città sembra intenzionata a farmene pentire.

Questo angolo di mondo, che per tanti è solo ‘banche, fiera e aeroporto’, è un posto dove sono stata felice.

La prima volta che ci ho messo piede ero venuta a trovare il mio ragazzo. Faceva un freddo che ti mangiava la faccia, ai mercatini di Natale. Da allora sono passati 3 anni, e molte cose sono cambiate: quello che era esotico e pittoresco ora è casa, una città che sembrava inospitale è diventato il posto dove vivono i miei amici e la persona che avrei continuato a seguire in capo al mondo ha deciso di proseguire il viaggio da solo.

Tornerò a casa. Il sole sta scomparendo dietro ai grattacieli e l’album dei Fleet Foxes che ho nelle orecchie è sull’ultima traccia.

Non c’è momento migliore che una dolce sera d’autunno per dirsi addio.

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