Wednesday 25 February 2009

La filosofia del parco giochi

Conosco una persona che ha trovato la chiave d’accesso al significato della vita in uno spazio praticabile e alla portata di tutti.
Non era impegnato a osservare le profondità dell’universo con un telescopio, né cercava di isolare sottoparticelle in laboratorio; passeggiava in un parco giochi.
Passeggiava, nemmeno troppo assorto, e tutt’a un tratto quello che gli ingombra il campo visivo non è più un parco giochi ma la rappresentazione, solida, colorata e a prova di bambino, della vita stessa.

Ci sono tutti gli estremi per parlare di illuminazione, anche perché le riflessioni scaturite hanno dato origine a una teoria che ha del condivisibile.

Siamo abbastanza abituati, grazie a incontri-scontri con religione e filosofia, a lavorare sulle simbologie per spiegare tutto quello che risulta sovradimensionato e difficile da analizzare.
Ma non mi era mai capitato di prendere uno scivolo come simulacro.
E invece si può: lo scivolo è l’immagine della crescita, di come l’esperienza riesca a rendere esperibile e quindi a semplificare e la realtà. Non si può conoscere e godere di una cosa fino a quando non la si prova, non la si studia, non la si fa.

Lo scivolo, quando la tua statura raggiunge a malapena il metro e ti trovi a osservarlo dal basso, si staglia imponente e minaccioso. Già l’approcciarlo richiede una certa dote di determinazione: non si può provare, lo scivolo. Si affronta e basta.
Ma non c’è divertimento senza la fatica dell’ascesa. L’unico modo per godersi la discesa infatti è arrampicarsi per quella ripida scaletta. E una volta messo il piede sul primo gradino non si torna indietro.

Come il significato del viaggio non sta nella meta ma nel percorso, lo scivolo è il gioco dei grandi per definizione perché si impone come una salita da affrontare.

Quando sei lì sopra però ti rendi conto che tutto quello che si stende ai tuoi piedi ha un aspetto famigliare; anche l’altezza fa meno paura, perché conosci il modo di tornare a terra.

Un altro elemento che non manca mai in un parco giochi che e che si presta al gioco dei simboli è la giostra. Per quel suo percorrere tragitti anche lunghi ritornando sempre al punto di partenza e ricalcando lo stesso percorso, la giostra indica la ciclicità della vita, il ripresentarsi sotto forme nuove di situazioni già vissute. Tutto scorre, e tutto ritorna. È il karma, che vuole tutto collegato e determinato dall’intenzione che anima ogni nostro gesto.

E l’altalena?

L’altalena descrive gli estremi entro cui oscilla l’esistenza: euforia e sconforto, entusiasmo e apatia, piacere e fastidio, affetto e distacco. Gli alti, i bassi e tutte le sfumature. Le due facce della stessa medaglia. Il bicchiere che è allo stesso tempo mezzo vuoto e mezzo pieno.

L’altalena è sempre stata il mio gioco preferito. Anche adesso che ho passato da lustri l’età consigliata, quando ne incrocio una non riesco a non provarla, e mi lancio a gambe raccolte sotto il seggiolino in cui strizzo i fianchi. Vado in altalena in posizione fetale. È sgraziato, ma è anche l’unico modo per non impattare al suolo, quando sei di 50 centimetri fuori misura.

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