Sunday 6 February 2011

Astronauti e ballerine


Non so più cosa rispondere al qualcuno che mi chiede come sto.

Se quel qualcuno affittasse la mia vita e vi ci trasferisse per un paio di giorni si chiederebbe come faccio a mantenere un aplomb squisitamente british e a essere piú preoccupata di organizzarmi il weekend che il futuro.

Se quel qualcuno si lasciasse facilmente prendere dallo sconforto si butterebbe da un ponte ancora prima di chiederselo.

Eh, cosa sarà mai... Volete un prospetto più accurato della situazione? Accontentati.
Sul piano professionale sto per perdere il mio terzo lavoro in tre anni - e non per demeriti miei, ci tengo a precisare -, la mia vita sentimentale è spensierata come pezzo dei Joy Division, vivo in un paese in cui il cielo é grigio 50 settimane su 52 e la gente parla una lingua oscura, arcaica e inaccessibile, nonostante gli sforzi.
Beh, almeno c'e la salute.

Le congiunzioni astrali sfavorevoli stanno trasformando un’ottimista patologica in una cinica cronica. Peccato.

Quando ero a casa per Natale, la mutti, dopo aver ripetutamente sottolineato che “a stare troppo al computer si diventa scemi” mi si è seduta di fianco, ha aspettato che spostassi lo sguardo dallo schermo a lei e guardandomi dritto negli occhi come a perlustrarmi l’anima mi ha chiesto “ma tu, in fondo, cos'é che vuoi fare?” Sapevo che quella del videogame tester non se l’era bevuta, non sono riuscita a convincere nemmeno la sottoscritta...

Non so che lavoro voglio: mi appassiono a tante, troppe cose, ma non riesco a appassionarmi al lavoro in sé. Forse perché non mi è mai stata offerta la possibilità di mettermi in gioco, di scoprire se c'é qualcosa che so fare bene, meglio di qualcun altro. Sono stufa di eseguire istruzioni.

Voglio continuare a buttarmi in esperienze sempre nuove e a prima vista slegate tra loro, ma più il tempo passa, più la lista si accorcia. Il treno degli astronauti e delle ballerine l’ho perso da un pezzo.

E ne sono passati di anni da quando, fresca di laurea, immaginavo il lavoro dei miei sogni. Volevo un lavoro creativo, perché suonava bene, profumava di brunch, casual Fridays, brainstorming e libertà. Peccato i vent’anni di ritardo sull’epoca d’oro dei copywriter, il tracollo economico su scala mondiale, il global warming e i tonni sterminati per rifornire di tekkamaki i nastri trasportatori del running sushi.

E se il battito d’ali di una farfalla è in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo, non vedo perché io non possa incolpare il buco dell’ozono delle mie alterne fortune in campo lavorativo.

Riconosco di non avere un particolare talento, e meno male, altrimenti mi starei mangiando le mani per non averlo sviluppato finora. Ma ho delle qualità: sono curiosa, sono sveglia e sono socialmente compatibile alla maggioranza dato che mi faccio i fatti miei, saluto con il sorriso, cerco di limitare le critiche e quando finisce il caffè ne faccio di fresco.

Non so che lavoro mi inventerò questa volta, ma sto cercando un’esperienza che mi permetta di raccontare storie. Storie diverse, con mezzi diversi. Mezzi come la televisione, internet, i videogame, la musica, ambienti che mi sono più familiari, ma anche la moda, i viaggi, la fotografia, passioni che vorrei diventassero quotidianità.

L’unica cosa certa è che continuerò a non programmare più in là del dopodomani, perché ho capito fare piani rende le cose più facili solo al destino, indicandogli dove soffiare per buttar giù i nostri castelli di carte.

Confiderò nel mio impegno per trasformare i castelli che progetto in aria in castelli di carte. Speriamo che stavolta faccia una comparsata pure una buona dose di culo.

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