Friday 1 February 2013

Shar Pei

In camerino, cerco di allacciare un paio di pantaloni troppo stretti e per sgombrare il campo d’azione pinzo la maglia tra collo e mento. Quando riesco a chiudere anche l’ultimo bottone, sollevo gli occhi senza mollare la presa e lo noto subito, quel girocollo di pelle superflua. Pappagorgia: suona male e si mostra peggio, in tutta la sua assenza di grazia.

Ho il doppio mento perché paradossalmente sono quasi sprovvista di un mento atto a sostenere quei tessuti che a vent'anni sfidano le leggi della gravità e passati i trenta si arrendono ad esse.

Lascio perdere i pantaloni, e approfitto dello specchio per valutare la gravità della situazione: raddrizzo le spalle, e prendendomi il collo fra le mani tiro la pelle indietro, cercando di stirare la piega. Appena tolgo le mani però, ecco che ritorna, ben definita. Sembro uno Shar Pei. Diventerò uno Shar Pei: questa è solo la prima di una ragnatela di pieghe che si sovrapporrà col passare degli anni al mio contorno.

Al doppio mento non ci sono soluzioni: posso provare a camminare a testa alta, o a indossare sempre la sciarpa, ma devo rassegnarmi  a conviverci.
E pensare che fino al 2007 pensavo di avercelo, un mento… poi un pomeriggio di agosto, mentre ci perdevamo l’uno negli occhi dell’altro ignorando la spiaggia della Sardegna che faceva da contorno, I. mi fa: “certo che a te il mento non te l’hanno proprio dato, eh?” e io gli ho sorriso, perché mi sembrava un’osservazione arguta, ma da quel giorno non ho smesso di cercare il mio mento in ogni superficie riflettente.
Nemmeno in questo camerino, anche se i commenti di I. non li sento da tempo, riesco a vederlo.

Cerco di guardarmi di profilo, e vedo mio padre: quello che ci manca di mento lo recuperiamo di naso; ricordo ancora la sorpresa di scoprirne la metamorfosi, quando nel passaggio tra le elementari e le medie ha preso la sua forma definitiva. La gobba sul naso era il mio unico cruccio, prima della perdita del mento.

Ho letto che gli specchi dei camerini sono montati in modo da toglierti una taglia. Peccato che la luce così abbagliante non faccia un grosso favore al colorito tendente al verde, gli occhi scavati e i numerosi brufoli. Trent’anni e ho ancora i brufoli! Ormoni, dice qualcuno, stress, qualcun altro; adolescenza cristallizzata, è la mia diagnosi.

Non sono mai stata severa con la mia immagine: la mattina, dopo essermi lavata la faccia mi sorrido, per farmi coraggio; se devo risollevare l’autostima mi trucco, mentre quando mi assale lo sconforto vado dal parrucchiere. Possiamo essere più o meno belle in base a quanto la vita ci sta mettendo alla prova, ma possiamo anche vederci più o meno belle, e per lo stesso motivo. Non c’è specchio più impietoso del proprio sguardo.

Quando ero in Sardegna ero in forma: la pelle abbronzata e compatta, grazie all'alternanza di pomeriggi al mare e serate a correre fra i tavoli del ristorante. Le pieghe non avevano ancora fatto la loro comparsa. Vivevo spensierata anche senza mento. E adesso? Cos'è cambiato? Se mi vedessi più bella, sarei anche più contenta? Kate Moss si piace davvero?

Quando bussano alla porta, istintivamente lo sguardo si sposta sui pantaloni, che restano troppo stretti da giustificarne l’acquisto. Mi rivesto e prima di lasciare il camerino mi guardo sorridermi.

Oggi ho passato fin troppo tempo a guardarmi fuori: esercizio interessante, ma incompleto: per rispondere a tutti i dubbi che mi sono scoppiati in testa dovrei trovare uno specchio per guardarmi dentro.   

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