Ho avuto anch’io un’epifania di questo genere: ascoltando in loop l’ultimo disco dei Black Keys, una collezione di canzoni tanto ruvide quanto ruffiane, una frase, tra le tante orecchiabilissime che si incollano alla lingua, continua a rimbombarmi nella testa: She’s the worst thing, I’ve been addicted to, che in italiano, snaturata la ritmica incalzante, suona come lei è stata la mia peggiore dipendenza.
Queste parole, ribaltate sulla prospettiva femminile, descrivono cosa per me è ora la persona che per quattro anni ho definito il mio ragazzo: la dipendenza più forte e pericolosa mai provata.
Posso affermarlo adesso, che ne sono uscita, ora che sono pulita, dopo essere passata attraverso tutte le fasi dell’intossicazione:
- La scoperta
Come con qualsiasi sostanza psicotropa, ero sotto prima ancora di rendermene conto.
- L’assuefazione
Ero terrorizzata di non essere alla sua altezza.
Ho amato incondizionatamente, preoccupata esclusivamente della sua felicità. E siamo stati felici, e tanto, sostenuti da quella spensieratezza che ti fa credere che tutto sia possibile.
Giocavamo, ma nessuno aveva stabilito le regole. Con il risultato che nessuno dei due ha vinto.
Il nostro unico comandamento era rimanere liberi all’interno della coppia. Solo che la libertà si trasforma velocemente in egoismo, se si perde di vista l’obiettivo comune.
- La dipendenza
Pensando alle circostanze in cui ci eravamo trovati, mi ero convinta che lui fosse l’unico possibile per me, l’unica persona che calcasse il mio universo spazio-temporale, la cui imperfezione si incastrasse perfettamente con la mia imperfezione. Non tanto la mia metà –da donna emancipata non accettavo il fatto di aver bisogno di un uomo che mi completasse- ma sicuramente qualcuno che arricchiva la mia esistenza.
Il problema della dipendenza però è il suo essere a senso unico, e il danneggiare sempre solo una delle due parti: l’alcool se ne sta tutto tranquillo in una bottiglia; può cercare di sedurmi promettendomi di rendermi infinitamente più attraente di quanto sono in realtà, ma la sua influenza si ferma lì. Sono io quello che stappo la bottiglia e vado incontro alle conseguenze.
- La crisi da astinenza
Ho imparato a sopportare la solitudine, docile e fiduciosa che una ricompensa sarebbe arrivata.
Mi mancava terribilmente, quando mi tagliava fuori dalle sue malinconie, ma non volevo farglielo pesare; volevo dimostrarmi più forte, più indipendente di quanto fossi in realtà.
- Il collasso
- Il distacco
- Il desiderio di rivalsa
E tu devi accorgertene. Voglio che tu sappia che non ho più bisogno di te per sorridere; ma prima devo convincere me stessa.
Sto bene. Sto bene. Sto bene.
Starei ancora meglio se ti rendessi finalmente conto di avermi persa. Perché la cosa peggiore che puoi fare a uno dei tuoi affetti è darlo per scontato. Bisogna meritarselo, l’amore, e custodirlo.
- La sobrietà
Ho fatto uso di surrogati, come la chat: un contesto protetto in sono riuscita a lasciarmi andare. Proprio come era successo all’inizio, quando avevamo capito che non eravamo solo buoni compagni di master.
E poi, settimana scorsa, abbiamo passeggiato in centro, proprio come era successo all’inizio, quando cercavamo scuse per ritagliarci dei momenti solo per noi.
Solo che le farfalle nello stomaco non c’erano più.
Sono come un'ex alcolista che catapultato in una festa con l’open bar ordina solo coca cola. E non perché ha paura di ricascarci, ma perché ha scoperto che la coca cola le piace tantissimo.
Ho voltato pagina, e se qualcuno mai mi metterà alle strette chiedendomi di giustificare alcune scelte compiute in passato, risponderò orgogliosa “perché ero innamorata”.
Non sarà una risposta dalla logica inappuntabile, ma mi sembra una spiegazione più che nobile.
Grazie Clod, complimenti per il post, fammi sapere quando scriverai il tuo primo libro =)
ReplyDeleteSei ancora in Germania?
-Diego (tuo ex collega)
Clod... è fantastico questo pezzo!!!!
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