Thursday 3 March 2011

L'esercito del surf


Il mio coinquilino soffre di letargismo finesettimanale: la routine solidificata in anni di ozio gli impone di togliere le scarpe al venerdì al ritorno dall’ufficio e di non lasciare la sua stanza fino al lunedì mattina, salvo puntate sporadiche al bagno e in cucina, in risposta al richiamo della natura.
62 ore in 17 metri quadri. Devo controllare, ma per me poco ci manca al Guinness record.

Potete immaginare la sorpresa quando un lunedì mattina apro la mail e scopro che proprio il mio coinquilino, con netto anticipo sul weekend, propone a tutto l’ufficio una festa il venerdì sera. Pubblicizzato come uno skater party,è organizzato da un negozio di streetwear gestito da un amico e il DJ set è ispirato alle musiche che accompagnano i video di skate, snowboard, bmx e altri passatempi squisitamente street.

Si può fare. In fondo, nei gloriosi primi anni ’90 ero una skater anch’io, e facevo avanti e indietro nel vialetto di casa su una tavola customizzata con l’artwork delle Tartarughe Ninja che mi aveva portato Santa Lucia su specifica richiesta.

E così arriva venerdì, e ci diamo appuntamento con gli altri curiosi a casa dove, per entrare nel mood della serata, il nostro resident skater (sempre il mio coinquilino) accende la TV e ci mostra un DVD con gente con i capelli controvento che esegue flip, grab e trick a favore di una lente fish-eye, il tutto impastato di colori fluo e montato in sincope da epilessia su musica punkrockeggiante. Vengo investita dal peso dei miei 28 anni. Sono troppo vecchia per tutto questo, ma se mi tiro indietro ora se ne accorgerebbero anche gli altri. Si può ancora fare.

Quando passa l’orario in cui si rischia di essere i primi a entrare nel locale, usciamo di casa. Perché stiamo andando a uno skater party, e essere cool non è un opzione, ma un comandamento.

Ci accorgiamo di essere arrivati quando il nostro contatto interno comincia a dispensare coreografate strette di mano a un branco di gente frangettata, dimenticandosi di presentarci. Nessuno di noi indossa un berretto e questo ci garantisce invisibilità.

Varchiamo la soglia del bar e anche se abbiamo cercato di evitarlo, siamo i primi. Siamo proprio gli unici avventori, e il busto di Elvis in camicia hawaiana ci regala un sorriso di incoraggiamento, mentre ci avviciniamo al bancone, sovrastato da un barista che sembra un extra di Prison Break.

Lancio uno sguardo intorno: non c’è nemmeno il DJ.

Completiamo il primo giro di birre e restiamo in attesa di istruzioni. Ci raggiunge quello che ci ha trascinato fino a lì e ci fa “beh, qua la festa non c’è, pensavo di andare a ballare” e senza chiederci se era passato per la mente anche a noi, esce dal bar. Per non rientrarci mai più. Come PR non hai futuro, lasciatelo dire.

Sedotti e abbandonati, e ancora soli al bancone, siamo pronti a affogare i dispiaceri nell’alcool. Ma anche il barista, nel frattempo è scomparso. Riappare dopo 20 minuti di pausa sigaretta, ci guarda senza nascondere fastidio, e prima di servirci raccoglie le bottiglie rimaste sui tavoli, insulta un ragazzino che gli è saltato su un piede mentre provava a aprire le danze e riaccende la candela votiva davanti al busto di Elvis. Solo allora, ricordandosi di non sorridere, ci dispensa il secondo giro.

Lancio un altro sguardo intorno: ci sono due scappati dalla seconda media e un tizio visibilmente ubriaco che viene verso di noi. Io a quel punto sono visibilmente annoiata, e approfitto della situazione per testare il mio tedesco.
Già partivamo svantaggiati, lui sbronzo e io analfabeta, ma non avrei mai immaginato le punte di surrealismo toccate da quella conversazione:

“Claudia. Cla-u-di-a. Dall’Italia”
“E cosa fai qui?”
“Ci vivo”
“Ah. E cosa fai?”
“Ah… scusa! Sono una videogame tester”
“Ah… E di lavoro cosa fai?”
“…”
“…”
“E tu cosa fai?”
“Il piastrellista”
“Ho capito: pavimenti?”
“Non solo, anche pareti”
“Certo!giusto…”
“…”
“…”
“Quanti anni hai?”
“Quanti me ne dai?”
“36”
“?” Rumore di mascella dislocata, bocca spalancata per la sorpresa.
“Beh, io ne ho 34” E questa dovrebbe bastarmi come spiegazione.
“Certo!giusto…”

“Senti, è stato davvero un piacere fare quattro chiacchiere, ma devo davvero andare a casa a pettinare le bambole adesso”: questo avrei voluto dirgli ma tra l’orgoglio ferito e il deficit della lingua mi sono invece alzata dallo sgabello, gli ho agitato una mano davanti alla faccia e ho urlato un inequivocabile “Tschüs”.

Così finisce, ingloriosamente, il mio ennesimo tentativo di sentirmi giovane mimetizzandomi fra i giovani.
Conoscete qualcuno che può mettermi in lista per la bocciofila? Free Chinotto a chi mi accompagna!

2 comments:

  1. Uè tipa, sintonizzati un po' con noi ggiovani
    http://www.youtube.com/watch?v=uDKh61eMMuE

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  2. down with the skaters, up with the indie rockers!
    "Never gonna stop being king of the beach" yeah!

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